RE NUDO - Anno VIII - n. 58 - ottobre 1977
RE NUD0/12 verso la lotta per la libertà di abortire scopriamo per esempio che il corpo è àllo stesso tempo posta in gioco e campo di battaglia. L'ordine stabilito lo vuole sottomettere per salvaguarda– re una serie di discipline scolastiche, militari, familiari, industriali, perfino ecclesiastiche - che fanno del corpo lo strumento della violenza dei dominan– ti. La femmina deve obbedire al ma– schio che la feconda, al medico che l'esamina, al generale che aspetta le nuove generazioni. Ma va. oltre: il corpo è il luogo di una guerra perma– nente perchè lo Stato non ha mai finito di piegare questo focolaio di resisten– za. Da qui lo sviluppo di tutta una disciplina del corpo, divenuta giorno dopo giorno più scaltra con i "progres– si" della civilizzazione occidentale, a colpi di psichiatria, di educazione sor-. vegliata, di assistenza più o meno sociale, di pedagogia e di tutti i saperi delle scienze umane. I manifestanti di Bobigny sembrano "minoritari" di fronte al potere presta– bilito - l'Asselblea Nazionale, l'ordine dei Medici - così come i contadini vietnamiti disarmati di fronte al B 52. Così come lo scrittore Solgenitsin isola– to di fronte al KBG. Tuttavia si posso– no fare della brecce e allargarle. Dei focolai covanò, si accendono, co– munic-:tno. Prigioni, caserme, fabbri- che, scuole, ospedali: luoghi che da tre secoli sono preda della violenza dei dominanti, come dimostra Foucault (nel suo libro "Sorvegliare e punire"). Oggi del XX secolo vi si possono riconoscere le fabbriche del fascismo. E - dunque! - i campi di battaglia. Se lo Stato deve "deperire" come dicono i leninisti, se deve essere "distrutto" come affermava Marx, è lì che deve succedere, su questi terreni investiti dai micro· - poteri. D: E la resistenza passiva? A.G.: Non è esatto parlare di resistenza passiva. Se resisti, sei attivo. lan Palach che si dà fuoco, non è passivo. E neppure lo è il detenuto che in Francia o in Russia si automutila per manife– stare. I criteri di resistenza si determi– nano anche in rapporto al nemico. Di fronte al fascismo e al razzismo tu reagisci, resisti. Di fronte al comunismo è più difficile. D'altra parte è logico dato che tutta la tua cultura è lì per convincerti. Il fascista è un primate, sai chi combatti. Di fronte al procuratore comunista che parla in nome del popo– lo, della classe, della rivoluzione, resti più disarmato, fino a ritrovarti in 4n campo di concentramento. D: Sovietico o cinese ... A.G.: Non ho mai letto testimonianze sui campi cinesi, salvo quella superin- quitante di Pasqualini (Prigioniero di Mao, Gallimard). Ma per quel che riguarda i campi sovietici è ben facile dimostrarne i meccanismi. D: Il colmo della violenza è la norma– lizzazione assoluta, la riduzione forza– tata a questa norma. A.G.: Sì, alla Ragione nel senso pom– poso del termine. Nel XVII secolo si diceva alla gente che venivano rinchiu– si quelli che erano nella sragione. Non erano neanche dei nemici non erano niente e non si giustificavano più. E, al limite, la lotta ideologica era più facìle in un campo nazista, dove eri persegui– tato per le tue idee, le tue convinzioni, che in un campo sovietico dove si nega il semplice diritto di pensare altrimen– ti. Non pensi, sragioni. La violenza fisica è praticamente identica. Ma si può comprendere questa realtà solo ascoltando la resistenza dai campi, ecco l'importanza dell'informazione e delle testimonianze. Bisogna leggere i testimoni sovietici, Solgenitsin, Cala– mov, Marcenko. E' la conquista dell'Ovest che conti– nua, il massacro e la scomparsa degli Indiani, dei colonizzati, dei mugik. Esiste un filo _concentrazionario che risale a La Politica di Platone, a questa filosofia dei proprietari di schiavi per terminare al perfezionamento dei cam– pi di concentramento.
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