RE NUDO - Anno VII - n. 49-50 - gennaio-febbrario 1977

RE NUD0/36 Il Deperimento Il primo dubbio in proposito ricordo che lo ebbi durante un controcorso nel '68. Si studiava «Stato e rivolu– zione» di Lenin e si discuteva il punto in cui Lenin richiama la frase di En– gels: «con la sparizione delle classi, sparirà ineluttabilmente lo Stato. La società che riorganizzerà la produzio– ne sulla base della libera ed eguale associazione di tutti i produttori, rele– gherà la macchina dello Stato al po– sto che le conviene: nel museo delle antichità accanto al filatoio e all'ascia di bronzo». Sulla base di questa citazione Lenin va a definire il suo concetto di «depe– rimento dello Stato» che può essere cosi richiamato: «solo la rivoluzione può «distruggere» lo Stato borghese. Lo Stato in generale, cioè la più com– pleta democrazia, non può che «de– perire». Già ci sono da notare due fastidiose coppie di virgolette che Lenin piazza su «distruggere» e su «deperire». Le virgolette, si sa, generano sempre im– barazzo: «beh, ma distruggiamo o no? Deperisce o no?» Comunque il dubbio che mi venne consisteya in questo: come mai Lenin non accenna al «deperimento del Partito» e al rap– porto tra «deperimento del Partito» e «deperimento dello Stato»? Così ri– buttai questo dubbio sul gruppo e ne vennero fuori grosso modo due posi– zioni: secondo alcuni (posizione che allora interpretai di maggiore orto– dossia leninista) dato che lo Stato si rende di per sé inutile previa il deQe– rimento e la fine delle classi, il Partito, essendo struttura dirigente della classe, ovviamente si estingue, anzi a rigore si estingue prima dello Stato. Secondo altri (interpreti che giudicai più vicini alle posizioni cinesi) il depe– rimento dello Stato era invece frutto della «continuazione della rivoluzio– ne»da parte del Partito: lo Stato tende a riprodursi e ad eternarsi: è il conti– nuare della lotta di classe anche du– rante il socialismo che lo mette (attra– verso il Partito) continuamente in di– scussione. In questa interpretazione però il «deperimento dello Stato» fini– va per essere una prospettiva assai lontana e si propendeva invece per una continua (eterna?) dialettica– scontro tra Partito e Stato (e anche qui poi d'una cosa perlomeno non si parlava, e cioè del «deperimento dell'Esercito»). Da questa discussione il dubbio m'era rimasto e soprattutto mi pareva non cosi casuale che Lenin NON avesse parlato di «deperimento del Partito» e che avesse messo tutte quelle virgolette. Più tardi mi parve d'intravvedere in Gramsci l'indicazione di un «deperi– mento del partito» (o come lui diceva, del «partito che diventa Stato») con la sua progressiva diffusione dentro e .. attraverso la società civile, ma ecco un altro dubbio. (Tra parentesi vorrei notare che mi pare corretto anche se ad alcuni darà un po' fastidio, esporre in termini biografici invece che «de– duttivi» lo sviluppo di certe problema– tiche, proprio perché è forse attraver– so le biografie che ci sarà possibile incontrarsi o scontrarci, comunque comunicare. Appropriato mi pare an– che usare questo linguaggio riposan– temente vecchio come del resto si conviene ad una esposizione zom– bie). Questo era il nuovo dubbio: se si può parlare di «deperimento del Partito», perché non parlare anche dell'inevi– tabile «deperimento della politica»? Era difficile nel '71-'72 porre questo tema dentro il dibattito teorico d'allo– ra. Nel '68 si pensava di andare verso la costruzione del Partito ed era diffi– cile parlare già del suo deperimento; nel '71-'72 cominciava a delinearsi l'uscita sul terreno politico anche di tematiche che precedentemente ne sembravano escluse, quelle appunto del «personale», e in questo tentativo di inventare un «nuovo modo di far po– litica» (frase in seguito presa a presti– to persino dalla Democrazia Cristia– na), in questo sforzo di «arricchire la politica», parlare di «deperimento del– la politica» pareva bizzarro. E quindi questi dubbi sono rimasti sempre dubbi che io stesso ho tenuto a lungo sepolti sotto le necessità e le ragioni della «fase» politica. Ma ora che la «politica» nella sua progressiva marcia avvolgente, dopo il «persona– le» sta inglobando il «cosmico», qual– cosa mi dice che è arrivato il momen– to, per gli zombie, di disseppellire la «scure del dubbio» e di riparlare del «deperimento della politica». Deperiscono tutti: «Stato» - «Partito» - «Classe» - «Politi– ca» Il leninista classico che sosteneva che tutti questi problemi si sarebbero posti solo «dopo la rivoluzione», pare mammifero politico in via di estinzio– ne, dedito all'hobby domenicale di in– trodurre pesci rossi nella bara di vetro del mausoleo di Lenin. Pare ormai ge– neralmente riconosciuto che anche nell'attuale fase di capitalismo matu– ro, o stantio, o di «transizione» o già post-socialista o addirittura secondo alcuni di tendenziale «Stato operaio», questi processi si stanno già verifi– cando in profondo: la crisi dello Stato con la polarizzazione da una parte di superpoteri nazionali e internaziona– li, dall'altra di «contropoteri» a livello di movimento (più sfuggenti questi dei primi, ma appunto perché «sfug– genti» non semplici da colpire anche se a loro volta poco efficaci nel colpi– re) o addirittura di società·civile (or– ganismi di democrazia «diretta» - da chi? e dove? - sul territorio, gruppi d'opinione eccetera); la crisi del Par– tito implicita proprio nel suo allargarsi verso la società civile e verso lo Stato; la crisi della Classe come entità omo-

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