RE NUDO - Anno VII - n. 47 - novembre 1976
RE NUD0/42 AVEVA UN TAXI NERO... Di nuovo la sensazione strana di aver visto un film che 'i critici' hanno visto diverso. Sarà capitato anèhe a voi penso, di leggere una 'critica' ci– nematografica che ti racconta un film in un certo modo e invece il film è completamente diverso. Di Taxi dri– ver per esempio, dopo Cannes, molti avevano scritto che era una viaria– zione (ennesima) sul tema 'città-di– merda' 'cittadino-che-fa giustizia'. Invece, per chiunque si sia visto un po' di Charles Bronson, appare chia– ro fin dall'inizio che qui si tratta pro– prio di un altro film. Anzitutto il tema della criminalità non c'è assoluta– mente. Se c'è è visto dentro quello dell'emarginazione (il che è esatta– mente il contrario dei film di Bron– son). Comunque dirò quello che vi ho visto e letto io: il tema più chiaro del film che lo percorre dall'inizio alla fine è la distanza tra certo pro– gressismo illuminato ·democratico-li– berale di certa 'sinistra' americana sorridente a pulita e l'elettore popo– lare medio confuso coagulo di ideo– logie reazionarie e di propositi di ri– volta, di solitudini e nomadismi, slan– ci e immrovvise chiusure. Da questo punto di vista Taxi driver è un film veramente rivoluzionario che fa la barba a tutto il filone progressista il– luminato e, appunto, sbarbato, tipo I tre giorni del condor eccetera. Qui l'America delle idealità è rappresen– tata per quello che è: un ufficio elet– torale dove 'si vende un presidente come un dentrificio', comizi elettorali di primarie fatti in piazze tutt'altro che oceaniche in mezzo all'indiffe– renza del traffico, dell'ubriachezza, del cascame metropolitano. I liberali americani cullandosi sui sogni del Watergate consumano sempre più il loro distacco dal popolo dietro stinte figure come Jimmy Carter, autentico candidato-dentifricio. I discorsi sulla morale e la giustizia dimenticano, come direbbe Tex, 'il giudice Colt' o piuttosto tendono ad occultarlo. Il cittadino medio (il taxista) che vede quello che succede, ha cioé un'im– magine della generalità, ma vissuta direttamente, nelle notti, nei cinema porno, sui sedili di dietro, conosce il motore reale di quella realtà e lo rap– presenta nel .suo 'giudice Colt'. In questo caso però il taxista non se ne va in giro a sparare, come Bronson, ai capelloni provocandoli, ma si sce– glie un nemico personale, una storia, un episodio pionieristico, non una violenza indistinta, ma personalizza– ta anche se la riveste di contenuti ('lavoro per il governo'). Contrappone la sua violenza e la sua giustizia alla giustizia formale dell'odiato-amato candidato presidente: è lo stesso terreno di patriottismo americano provinciale ma che non può più tro– vare legame con l'ideologia liberl– unitaria, con la fiducia nella legalità formale, nelle lezioni, nell'America 'buona' contro quella 'corrotta'. Crol– la l'ideologia come forma generale, e viene invece riconfermata come ulti– ma salvezza dalla solitudine, dalla non-identità, dalla reale merda del quotidiano. Questo film dice ai pro– gressisti americani che costituisco– no il suo pubblico: «i signori questo è il vostro cittadino medio onesto». Questo 'cittadino medio' al di là del quale è solo la disgregazione totale, la asocialità pura e semplice, spiega forse perché in America come in Germania (per esempio) tanto le si– nistre quanto le destre si misurano alla fine sulle 'campagne d'ordine pubblico' consumando in questo la loro natura istituzionale/separata anche da chi di 'delirio dell'ordine' vive quotidianamente. La 'politica' diventa una sola, e distante nel suo formalismo, il quotidiano diventa ri– sussunzione di cascami ideologici in pura concreta violenza di solitudini 'medie' contro solitudini 'medie'. JE T'AIME ... .... E IO TI SEQUESTRO Mentre Novecento torna in circola– zione rapido come saetta (e lungo come un millennio), mentre Salò re– sta interdetto, e Vizi privati bocciato 'perché non si solleva dalla materia verso le sublimi vette dell'Arte', un altro film resta oltre che sequestrato, idifeso. Eppure è un film 'segnalato dai critici', un film di livello. Forse di– pende dal titolo «Je t'aime moi non plus» su cui il Vaticano già aveva messo il veto una volta. Questo titolo per altro ha finito per indirittamente censurare il film alla visione di molti anche quando era in libera circola– zione. Pare infatti, dalla cornice, un film porno-canzonettaro. Brutti rospi per chi adava a vederlo con quelle aspettative, e un gran peccato per chi, ingannato, non lo è andato a ve– dere. lo quando l'ho visto ero reduce dalla recente visione di Novecento parte I; Barry Lyndon e l'innominabi– le, abominevole Brutti sporchi e cat– tivi. Avevo deciso di chiudere con la corrente stagione cinematografica, 1perlomeno fino all'uscita di King Kong, perché sinceramente accetta– re l'idea che vengano affidati miliardi in gestione a registi-intellettuali, or– mai caricatura di sè stessi, monu– menti all'impotenza della presunzio– ne e alle seduzioni della merce, mi diventava un'idea sempre più intolle– rabile. Je t'aime moi non plus lo vado a vedere quasi per ripiego in una sera di stanca, molto prevenuto anche per l'abituale insopportabilità di Jo D'.Alessandro.Invece mi ritrovo davanti un film bellissimo e come tutti .i film bellissimi, c'è poco, quasi niente da raccontare, perché è tutto da vedre. Attraverso l'omossessuali– tà si vanno a scoprire i modelli, attra– verso i modelli le diverse solitudini, in un triste e dolce gioco di relazioni e repulsioni dentro un ambiente-im– mondezzaio che non può non far ve– nire in mente i giorni altrettanto tesi disperati e ricchi del Parco Lambro. Un film su cui non voglio dire niente di più prima che altri di' voi l'abbiano visto e insieme si possa confrontare quello che ognuno di noi ci ha visto e come e perché. Un'ora e venti di film scarno, densissimo, povero sen– za mito della povertà. Uno contro 'novecento'.
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