RE NUDO - Anno VII - n. 47 - novembre 1976
oggi viene spesso dimenticato, il rapporto visto dalla parte dell'uomo. Il mio personaggio dopo un periodo di apparente armonia si sente lenta– mente soffocare per troppo amore, troppo tacite richieste ed è un cre– scendo a cui l'uomo cede arrivando ad una completa, assoluto identifi– cazione e perdita assoluta di auto– nomia (... ml rotolo nel fango, ho Im– parato ad abbaiare, ml gratto, ml annuso, cammino a quattro zam– pe...). Fino ad arrivare alla rivolta, al rifiuto aggressivo, aperto. Una rea– zione violenta cui segue una rifles– sione ad alta voce - Lona che pen– si? Lo sento che pensi a qualcosa. Non sono violento. Non ho niente da dimostrare io. Te lo sei Inventa– ta tu che io ero il padrone... lo non sono violento. La dovevi smettere di chiedere .•. è tutto lì. E poi chiedi male ... è quel chiedere e non chie– dere, avere paura, ferita, ecco, sempre ferita con quegli occhi lì. Non c'è niente di peggio di chi re– sta male. Di tutti i modi di chiedere è il più tremendo. ·Meglio che uno dica «voglio, voglio, voglio». Fai la vittima eh? E quando fai la vittima credi di essere remissiva e invece sei violenta. Ecco sì, sei tu che sei violenta. Perché, la violenza si fa solo col fucile? E la violenza non aggressiva? La violenza docile? La violenza di chi non può essere abbandonato, di chi non ce la fa a star sola e fa quella faccia lì che fa finta di dire «tu puoi fare tutto puoi anche andartene via... Non è vero che esistono due pòsslbllltà. lo ce ne ho una sola e questa è violenza, lo non possò andare via perché mi ricatti col tuo dolore assurdo..... La violenza di certa non-violenza so– litamente femminile ma oggi anche di molti maschi remissivi fa parte di un discorso molto più àmpio in Ga– ber che ha come minimo comun de– nominatore la difficoltà di vedere chiaro: difficile individuare i padroni di oggi non più pancioni col cilindro cari alla mitologia legata alla rivolu– zione russa, complicata l'analisi di classe, ancora più difficili individua– re il nemico. Un discorso che corre sul filo del paradosso e che passa per un feroce atto d'accusa contro l'americanizzazione della società, dei comportamenti, passaggio centrale dello spettacolo in cui «Libertà ob– bligatoria» è proprio la libertà ameri– cana, una libertà che è costrizione ad assumere determinati atteggia– menti liberi talmente liberi, comuni, guidati, condizionanti, che alla fine arrivano ad essere nuove catene di plastica colorata; appunto la libertà obbligatoria, quella libertà ctle senza farti accorgere ti impedisceldi sce– gliere realmente. In questo momento dello spettacolo, l'America esce distrutta, nuda: il nuovo imperialismo che ha sommar- so l'Europa di «doni». Dice Gaber «A noi ci hanno insegnato tutto gli americani. Se non c'erano gli ame– ricani a quest'ora eravamo euro– pei, vecchi, pesanti, sempre pen– sierosi, con gli abiti grigi e i taxi ancora neri. Non c'è popolo che non sia pieno di spunti nuovi come gli americani. E generosi. RE NUDO/17 la libertà lì. Nemmeno una malattia ti mangia così bene dal di dentro. Te la mettono lì la libertà è alla ·portata di tutti, come la chitarra. Ognuno suona come vuole e tutti suonano cpme vuole la libertà;. Sembrerebbe la chiusura dello spet– tacolo ma Gaber all'ultimo riesce ad andare ancora più a fondo e lo fa con il «cancro», un motivo drammati– co sulla difficoltà ad individuare oggi i veri nemici, perché l'uomo in que– sta epoca più che mai è contaminato dal di dentro, al di là delle classi: «È difficile vivere con gli assassini dentro. Forse è più facile vivere con quelli fuori, riconoscibili, che ti sparano nelle strade, dalle catte– drali, dalle finestre delle caserme, dai palazzi reali. Gli americani non prendono mal. Danno, danno. Non c'è popolo più buono degli americani. •.. Per loro le guerre sono una missione. Non le hanno mai fatte per prendere, macché, per dare. C'è sempre un premio per chi perde la guerra. Or- . mai quasi conviene. Una volta gli invasori si prendeva– no tutto dal popolo vinto: donne, religione, scienza, cultura... Loro no, la cultura non li ha mai intacca– ti. Volutamente. Sì, perché hanno ragione a diffidare della nostra cultura elaborata, vecchia, contor– ta. Loro più semplicità, più imme– diatezza ... Loro creano così, come cagare. Non c'è popolo più creati– vo degli americani. Ogni anno ti buttano li un film, bello, bellissimo. Ma guai se manca un po' di super– ficialità, sotto sotto c'è sempre un, po' il western. Anche nei manicomJ riescono a mettere gli indiani. E questa è coerenza." Assassini che in qualche modo puoi combattere, sai cosa fanno ... assassini vecchi, superati, cialtro– ni, prevedibili e schematici anche nella cattiveria, ma l'assassino dentro è come una iniezione, non lo puoi fermare ... S.ento come il bisogno istintivo di un rigore, da inventare ogni giorno. Non un poliziotto, ma u.nguardiano di me stesso. La libertà di non es•· sere liberi. La frase di chiusura è un interrogativo che ti lascia a pensare, a riflettere su quello che è senza dubbio lo spettacolo culturale (politi– co) più politico (culturale) di questi ultimi anni. La satira sfuma e la conclusione è amara: «Non ho mai visto qualcosa che sgretola l'individuo come quel- I REDUCI di G. Gaber E allora è venuta la voglia di rompere tutto le nostre famiglie, gli armadi, le chiese, i notai i banchi di scuola, i parenti, le «centoventotto» trasformare in coraggio la rabbia che è dentro di noi e tutto che saltava in aria e c'era un senso di vittoria come se tenesse conto.del coraggio la storia. E allora è venuto il momento di organizzarsi di avere una linea e di unirsi intorno a un'idea dalle scuole ai quartieri alle fabbriche, per confrontarsi decidere insieme la lotta in assemblea e tutto che sembrava pronto per fare la rivoluzione ... ma era una tua immagine o soltanto una bella intenzione. E allora è venuto il momento dei lunghi discorsi ripartire da zero e occuparsi un momento di noi affrontare la crisi, parlare, parlare e sfogarsi e guardarsi di dentro per sapere chi sei e c'era /"orgoglio di capire e c'era la certezza di una svolta come se capir la crisi voglia dire che la crisi è risolta. E allora ti torna la voglia di fare un'azione ma ti sfugge di mano e si invischia ogni gesto che fai la sola certezza che resta è la tua confusione il vantaggio di avere coscienza di quello che sei ma il fatto di avere la coscienza che sei nella merda più totale è /"unica sostanziale differenza da un borghese normale. E allora ci siamo sentiti insicuri e stravolti come reduci laceri e stanchi, come inutili eroi con le bende perdute per strada e le fasce sui volti già a vent'anni siam qui a raccontare ai nipoti che noi noi buttavamo tutto in aria e c'era un senso di vittoria come se tenesse conto del coraggio la storia.
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