RE NUDO - Anno VII - n. 44-45 - agosto-settembre 1976

. , I I I .. . ' 62 Tra queste recensioni ce n'è una di un disco che non esiste. Chi indovinerà la re– censione immaginaria riceve– rà in regalo il disco. Ennio Mozzicone, Per qualche milione di dollari in più (Grill, 113) Finalmente riusciamo a parlare anche del più grande esponen– te italiano della musica negra. Non nel senso che Mozzicone sia di Detroit o Philadelphia, ma nel senso di tutti i negri che la– vorano per lui. Ciononostante pare che il nostro lavori inde– fessamente (e ingrassi a vista d'occhio): riesce a scrivere due partiture contemporaneamente una con la mano destra, una con la sinistra, pensandone una terza e dettandone una quarta al maestro Niccolini. In questo modo ha fatto più colonne lui che gli Ateniesi dell'età di Peri– cle. Il Maestro è un vero fanati– co della colonna e non dice mai di no: sia che si tratti del colos– so di sinistra con Volonté, sia del colosso western con Bron– son, sia del colosso erotico con Carmen Villani. Di colosso in colosso fino al collasso. Unico rammarico: non aver fatto la musica di "Sansone e Dalila" con Victor Mature. Sarebbe stato un bel colpo: lì le colonne erano come minimo due. Nel– l'occasione dell'ultima colonna pubblicata (mentre scriviamo ne avrà certamente creata qualche dozzina ·in più) pare che il nostro Ennio sia andato un po' insieme: non riesce più a districarsi tra i generi e i titoli. Nella scena finale di "Un Grin– go per Ringo", mentre Henry Fonda, a gambe divaricate e pi– stola a portata di mano guata negli occhi Clint Eastwood, si può ascoltare una musica inso– lita tutta sospiri e organi ( di va– ria natufa) e coriste diplomate in gregoriano orgasmico. Scambio di partiture? O inso– spettabile amore tra l'Henry e il Clini? E che dire della grande caval– cata con schiocchi di frusta e scacciapensieri che accompa– gna la scena madre (snaturata) di "Incesto a mezzogiorno"? Forse un attimo di smarrimen– to, giustificato del resto dal fat– to che il Mozzicone sta final– mente. realizzando il suo capo– lavoro: la musica del film– kolossal tratto dal noto scritto di Manzoni "La colonna infa– me". b ,otec Taberna mylaensis (RCA) I ragazzi della Taberna sono proprio bravi. Fanno musica popolare siciliana, senza ridur– re tutto a farantelle ed evitando l'esotismo. Loro stessi·a1 Lam– bro hanno ·dètt.o di voler-com– battere i "carrettini sièiliani'' ti– po Sciuri-sciuri o vitti 'na croz– za, per recupero caratteri più autentici, più antichi, dolorosi e festosi assieme. Il loro concer– to ai Lambro è stato se·nza CÌÙb: bio uno dei più àllegri simpatici e riusciti. Hanno ·una carica di vivacità e semplicità che si co– munica subito. Per cui quando ha messo le mani sul disco era tutto felice e pieno di aspettati– ve. E difatti le aspettative sono in parte confermate dalla fre– schezza di alcuni pezzi come "U tritolu", "L'amante confes– sori" "Sabba blu" e i due d'in– tona~ione provenzale.· Però de– vo dirlo, sono anche andate in parte deluse. C'è un problema di fondo: la musica popolare e contadina nata in una dimen– sione "d'uso", mal si adatta a passare in una dimensione di "valore di scambio" qual è quella del prodotto disco. Un po' tutti i gruppi che hanno fatto questa musica si sono dovuti misurare con questo problema: dal Canzoniere del Lazio che ha allora spinto di più sul piano della destrutturazione– ricomposizione del popolare dentro la propria sensibilità mu– sicale, alla NCCP che invece ha voluto compiere l'ennesima operazione di nobilitazione bor– ghese del popolare rendendolo gradevole al "gusto", specioso e rococò, comunque alla ricer– ca d'una impossibile unità tra snobismo archivistico e vivacità popolare ricreata. La Taberna pare invece aver preso il pro– blema un po' sottogamba, ep– pure c'è: infatti nel loro disco il suono del tamburello perde ca– lore e diventa "colore", lo scac– c,iapensieri non armonizza con l'insieme ma balza pulito in pri– mo piano come dire «eccovi lo scacciapensieri», le voci in eco sono dentro una eco di sala che poco ha a che fare con la piaz– za. Tutto ciò è anche un proble– ma di produzione, che ci pare sia quasi agli antipodi del di– scorso dal vivo della Taberna e tenda a ripulirlo, a culturizzarlo (dai bozzetti di copertina, al no– me latino, alla prefazione del produttore del tutto oziosa) con un'operazione sbagliata cui del resto la IT non è nuova. Però non è solo un problema di pro– duzione: è ovvio che registrati dal vivo i Taberna ne gua'òagne– rebbero, ma il problema vero sta altrove e non è di facile so– luzione: una musica "morta" ri– pescata dal tempo, rivissuta, gioita e resa viva in un rapporto vivo con la gente, quando va a solidificarsi in disco torna spes– so a morire, a diventare "ogget– to", distante, esterna. Quale rapporto allora tra tecnologia di sala e musica popolare, tra mezzo di diffusione originale di questa musica (tradizione ora– le, partecipazione, coinvolgi– mento e ripetizione rituale) e quel mezzo -di diffusione di massa che è il disco (solidifica– zione in merce, ascolto oggetti– vo e individuale, ripetizione meccanica)? È un interrogativo che si ripresenta sempre e na– sconde una contraddizione di fondo. Quel che è certo è che il disco ha una sua specificità, come mezzo, su cui bisogna fa– re un lavoro molto diverso di quello della definizione del suo– no dal vivo, e questo lavoro non solo non può ma non deve es– sere delegato alla "produzione" perchè dev'essere un patrimo– nio della ricerca di gruppo cosi come è patrimonio del gruppo la prima ricerca dei materiali originali. RICKY GIANCO, Alla mia mam ... (Ultima Spiaggia) Qualche cretino ha scritto sul Quotidiano dei Lavoratori (non pagati. ..) che al Festival c'era– no anche (scandalo! scanda– lo!) dei produttori discografici. Come se fare dischi fosse un lavoro più sputtanante che non fare il leaderino o il funzionario disc-jokey. Decisamente il mo– ralismo e l'idiozia non hanno frontiere. Il Ricky Gianco ha cominciato a cambiare proprio quando ha voluto lasciare alle spalle la sudditanza discografi: ca e fare un discorso suo. E chiaro che nessun cambiamen– to è definitivo: però quando c'è va registrato. Ricky che prima passava per un maestro del prodotto ben confezionato, qui riesce a capovolgere il discorso con tutte le sue ambiguità reali, rivelate e non furbescamente nascoste. Prendete il• primo pezzo, interamente suo "Un amore". Chi oggi ··come oggi avesse voluto fare successo:sul mercato di sinistra avtebbe · pensato a un ritratto di donna di , sinistra positiva, femminista, magari un po' patetica, con am– mirazione e degnazione (alla Venditti). Chi- avèssè vòlU:fo fi:1- re successo sul mer-cato.di ·çte- • stra avrebbe pensato al'solit_Ò. ritratto di donna stronza: un po' puttana, compatita (alla Mo– gol). Entrtambi (alla Venditti e alla Mogol) avrebbero scelto un motivetto cantabile dal garzone del panettiere, che dicesse co– se apparentemente auree ma con sobrietà (e vuotezza so– stanziale), senza rompere le palle e senza parlare mai di sé. Invece in questo caso si tratta non di un prodotto confezionato ma di uno scazzo reale. Ricky ratconta una storia sua, con l'ambiguità di come l'ha vissuta lui, coi momenti che ha vissuto lui (poco importa se si va molto oltre il "muro" dei tre minuti e mezzo pericolosi per la RAI– TV). È un esempio di "persona– le" anche se è un "personale" che ancora non diventa autoco– scienza perché tende a riflet– tersi sempre all'esterno cioè nella descrizione di questa ra– gazza lontana/vicina amata/e– stranea, e poco nello scavo del– la propria confusione. Però è una cosa autentica. E non è po– co. Anche gli altri pezzi dell'LP sono belli e dimostrano che si può fare il rock e la ballata sen– za cadere nella vuotezza e nei semplicismi del "facciamo quattro salti insieme". Ogni pezzo è frutto di una piccola ri– cerca, a volte riuscita, a volte rimasta un po' a metà o gonfia– tasi sotto la spinta anche di qualche ambizioncella di trop– po. Una ricerca riuscita è il pezzo intitolato "La Repubbli– ca" scritto da una vera schiera di autori in sette dialetti italiani e che alterna sensibilità diverse e opposte. Per esempio la pe– nultima strofa è di Trincale e di– ce piò o meno: «Spezza le tue· catene con la tua forza, la ma– fia e i preti t'hanno rubato il so– le...• l'ultima è di Lino Toffolo e dice a chi sostiene che si può avere tutto a patto .di volerlo, che «voler costa fatiga no ste– rno a desmentegar, mi no vogio mai gnente basta che i me las– sa star». Ironia e paradosso dentro l'incazzatura e incazza– tura dentro un po' d'aria di fe– sta. Buona miscela.

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