RE NUDO - Anno VII - n. 40 - marzo 1976

oppressi, allorché prendono coscienza di esserlo: lo stare bene insieme, o semplicemente lo stare fra loro il meno peggio possibile. Potersi ritrovare, riconoscere, diventa una cosa bellissima e importantissima per chi prima ha vissuto un'esistenza nella solitudine più nera, nell'angoscia, nella paranoia, ignorando l'esistenza di altri che vivevano la sua stessa condizione, o tutt'al più riuscendo ad incontrarli nei cessi, nei parchi, nei bar e cinema particolari, e solo di notte. Allora, per stare bene insieme lontano dalla mostruosa violenza del ghetto, basta una stanza e dieci-venti omosessuali più o meno contenti di esserlo, più o meno liberati, più o meno oppressi dal sistema, più o meno gioiosi. Da questo istante, da quando lo stare insieme non basta più per sentirsi meglio e si comincia a indagare sul desiderio, la sessualità, il modo di porsi rispetto l'esterno e all'interno la violenza subita e fatta a sé e/o agli altri, oltre alle contraddizioni fra omosessuali rivoluzionari ed esterno, cominciano ad affiorare lentamente anche le contraddizioni interne. Il bisogno di vedersi solo fra omosessuali che subiscono gli stessi livelli di oppressione, lo sentono subito le lesbiche, che vivono su di sé una doppia violenza: oltre all'omosessualità, si sa, vengono emarginate perché donne. Non ha senso per loro cerç:are insieme agli omosessuali maschi una pratica unitaria di liberazione e di lotta: troppe volte passa sopra le loro teste senza coinvolgerle in prima persona. La stessa cosa poco dopo fanno le checche e i travestiti che anche loro si sentono violentate ed emarginate da tutti gli altri omosessuali (oltreché ovviamente dagli eterosessuali). La realtà di fatto che vivono sulla loro pelle é diversa, e pur restando valido il momento sociale, di ritrovo comune, sentono il bisogno anch'essi di vedersi in un altro luogo e in un altro momento e studiarsi/viversi con propri tempi e modi il loro processo politico. Infine avviene così per tutte le altre specificità omosessuali: sadomasochisti, pederasti, polimorfi-perversi, ecc. Un esempio della logica emarginante ed elittaria della vecchia struttura del collettivo può essere data da questo epìsodìo. Aduna~unionesonovenuti due travestìtì, i primi (e gli ultimi, almeno finora) che mai fossero venuti all'ex FUORI! autonomo. Ora, non essendoci nessun travestito politicizzato nel collettivo benché a tutti fosse chiaro il discorso politico sul/del travestitismo, non c'è stata una sola frocia che abbia detto loro qualcosa per tutta la sera, ignorandoli anziché cercare di provocare una discussione/dibattito che partisse da loro. Non si sono fatti vedere né la volta dopo né mai più. D'altra parte nessuno sentiva il bisogno né poteva dire nulla in nome dei travestiti. Nessuno poteva fa~e niente se non, appunto, stimolarli a parlare di sé e della loro condizione. Solo i travestiti possono portare avanti una lotta di liberazione per se stessi, prendendo coscienza e organizzandosi sulla propria specificità. Gli altri omosessuali possono solo dare un esempio, con le proprie lotte specifiche. Sintesi La seconda fase della lotta per la liberazione dall'oppressione non nega assolutamente il bisogno della prima. Tutti, come omosessuali e basta, abbiamo bisogno di vederci stare fra noi, amarci, baciarci, ballare, giocare, divertirci, senza più senso di colpa alcuno. E tutti però, come omosessuali che si vivono delle oppressioni specifiche, dei desideri diversi, dei tempi e modi di liberazione diversi e specifici abbiamo bisogno di vederci e ritrovarci separatamente per cercare una pratica meno generale e generica e meglio soddisfacente i iivelli di bisogno di ognunno o di ogni gruppo di frocie, lesbiche, checche, pederasti, sadomasochisti ... - Per tutto questo · lo sbriciolamento dell'ex coli. aut. FUORI! di Milano e la realtà dei molti, diversi, COLLETTIVI OMOSESSUALI MILANESI. Un prato-festa-di-colori e cento fiori (si spera) Roberto Polce dei Collettivi Omosessuali Milanesi Segue da pag. 8 Quello, ad esempio, erano si– tuazioni in cui si riuscivano a ti– rare fuori i propri problemi per– sonali, a parlare di se stessi senza l'incombenza dell'orga– nizzazione. Perché anche nelle cose alternative, anche quando si fa musica nuova, diversa, si ripresenta sempre quest'atteg– giamento di passività di parlare sempre a livello generale e di rimanere con tutti i propri pro– blemi personali, quando invece, puttana eva, son problemi che hanno tutti ... E qui per noi si è chiarita l'im– portanza fondamentale che ha avuto e ha l'autocoscenza, perché proprio attraverso la pratica, attraverso il fatto che tra di noi si riesca a parlare. Per noi era importante il fatto che ad una riunione politica si metta all'ordine del giorno il fatto che non si comunica, il fatto che siano sempre quei pochi a par– lare, e che siano sempre quei pochi a gestire le cose. Poi c'hanno sbattuto fuori da questo cinema, l'hanno distrut– to, e noi purtroppo ci siamo di– sgregati in una maniera incredi– bile, e proprio perché non ave– vamo abbastanza praticato me– todi di vita diversi, non eravamo stati abbastanza assieme. E adesso, che vogliamo ricostitui– re il circolo, abbiamo posto questo punto fermo: noi non an– diamo da nessuna parte se pri– ma non iniziamo a conoscerci a fondo, a praticare forme di vita diverse, senza continuare a parlarne in termini astratti, ge– nerali, troppo politici vecchia maniera. E non a caso l'unica cosa che è rimasta in piedi dopo che ci hanno sbattuto fuori dal cinema è il collettivo donne, che conti– nuano a vedersi e a organizzare iniziative di strada, mostre ecc. Comunque; dicendo evidente– mente . che l'autogestione è quello che vogliamo e cosi via, bisogna anche dire che in tutto questo lavoro sono state coin– volte troppe poche persone, troppi pochi giovani proletari ri– spetto alla quantità di tutti quelli che hanno gli stessi problemi. SEGGIATE. Anche per noi il problema di andare a cuccare quelli che la sera vanno a bar ç:i al cinema c'è ed è grosso. E grosso perché quelli sono gli unici spazi che ci sono, e per poter fare delle cose che servo– no veramente dobbiamo riusci– re a coinvolgere il maggior nu– mero di proletari possibile. Il problema è anche come ci si pone di fronte a loro. Spesso, 35 anche fra di noi, c'è un atteg– giamento di avanguardia, di quelli che portano le cose giu– ste, che organizzano, un po' dall'esterno. E questo, s'è visto soprattutto con i gruppi, non funziona un cazzo. Cioè, non bisogna ricreare il ghetto, an– che se è di quelli più bravi (che poi, che cazzo significa i più bravi? ... ). ORTICA. Noi abbiamo occupa– to un ex-collegio abbandonato che era nel quartiere. Dappri– ma si era formato un gruppo di giovani che si erano messi as– sieme per formare un Comitato Antifascista per difendersi dalle provocazioni dei fascisti nel quartiere. Poi, man mano che si stava insieme, si è visto che avevamo bisogno di un centro in cui poterci trovare, fare mu– sica, parlare e discutere dei no– stri problemi, un posto, come dicevano gli altri prima, che fosse diverso dal bar o dal cine– ma. All'interno dell'occupazione ab– biamo cominciato a organizza– re delle feste con musica fatta da noi, dei fuochi all'aperto do– ve facevamo le castagne, sta– vamo insieme, a bere e fumare. Tutto questo era molto bello, ma anche lì c'erano dei proble– mi. Cioè capivamo che per cambiare realmente la vita, per riuscire a vere, cioè riuscire in una ma– niera o l'altra a trovare i soldi o il posto dove dormire e chi ave– va la fortuna di riuscire ad usci– re, di vedere qualche amico, bi– sognava stare molto più tempo assieme, riuscire a conoscerci meglio, creare forme di vita di– verse e non solo parlarne. C'era anche l'esigenza di cam– biare subito alcuni modi di vita e di rapporti tra di noi. Per esempio, per molti dei giovani proletari del quartiere l'unico lavoro possibile era fare il bari– sta, il cameriere o andare a scaricarre le cassette ai mer– cati o àl mercato generale. Al– lora ci siamo messi in gruppo e, una volta, per esempio, siamo andati· tutti nel bar dog dove la– vorava uno dei giovani che ve– nivano nel "collegio" e abbiamo cominciato a discutere col pa– drone del bar che aveva con questo ragazzo un rapporto di merda, costringendolo a fare degli orari impossibili, pagan– dolo molto poco, senza calcola– re gli straordinari, approfittando del fatto che di lavoro in giro non ce n'era. Ecco, questo era un po' il tipo di esigenze che c'erano all'interno dell'occupa– zione e, più in generale, all'esi– genza di formare un circolo gio– vanile di quartiere.

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