RE NUDO - Anno VI - n. 37 - dicembre 1975

TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SUL COMUNISMO (E NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE) Caro Copcon, c'è qualche leader storico marxista che abbia scritto sul– la musica, o che abbia studia– to la musica del proprio tem– po? Mi pare che con tutto l'interesse che la sinistra sta rivelando per i fatti musicali, manchino ancora un pò le basi minime di conoscenza e di critica musicale. Piacciono (o si finge che ci piacciano) i canti popolari, perché sono popolari, non perché sono canti. O sbaglio? Questo di– sinteresse per la musica, per la spiegazione e l'interpreta– zione dei fatti musicali, è cro– nico nel marxismo? Chiave-di-violino-inglese, Arese Caro compagno, si vede che non conosci bene le tradizio– ni... Potrei ad esempio sugge– rirti... coso... No, hai vinto. Non so proprio cosa dirti. Ignoranza totale. Posso caso– mai dirti che questa ignoranza mi sembra connaturata a mol– ti grandi «padri». Quindi con– soliamoci o piangiamo amara– mente. I gusti di Engels in materia musicale paiono un pò causali e confusi: dice che gli piace Paganini (ma per i suoi prodigi manuali che gli ricordano il processo di uma– nizzazione delle scimmie), odia Wagner (perché Kautsky in un necrologio l'aveva con– fuso con Marx ...), ci racconta che durante un congresso al– l'Aja succede una cosa del genere: « Una volta la reazio– ne ci ha inviato un manipolo di ubriachi per cantare, dopo la conclusione della seduta, l'inno nazionale regio olande– se. Li lasciammo cantare, e rispondemmo colla Marseillai– se... " (una lettera del 1872). Uno che di musica qualcosina ha scritto è stato Gramsci; leggiamo inorridendo: « ...il buddismo non è una idolatria. Da questo punto di vista, se un pericolo c'è, è costituito piuttosto dalla musica e dalla danza importata in Europa dai negri. Questa musica ha vera– mente conquistato tutto uno strato della popolazione euro– pea colta, ha creato anzi un vero fanatismo. Ora è possibile immaginare che la ripetizione continuata risponde il prof. CO CON dei gesti fisici che i negri fanno intorno ai loro feticci danzando, che l'avere sempre nelle orecchie il ritmo sinco– pato degli jazz-bands riman– gano senza risultati ideologi– ci? a) Si tratta di un fenomeno enormemente diffuso, che tocca milioni e milioni di per– sone, specialmente giovani; b) si tratta di impressioni molto energiche e violente, cioè che lasciano tracce profonde e durature; c) si tratta di feno– meni musicali, cioè di manife– stazioni che si esprimono nel linguaggio più universale oggi esistente, nel linguaggio che più rapidamente comunica immagini e impressioni totali di una civiltà non solo estra– nea alla nostra, ma certamen– te meno complessa di quella asiatica, primitiva ed elemen– tare cioè facilmente assimila– bile e generalizzabile dalla musica e dalla danza a tutto il mondo psichico.» Come si vède Gramsci è sempre una gran testa; pur nel corpo di un'osservazione più o meno incidentale (cfr. tutta la lettera a Tania, 27 febbraio 1928, nelle Lettere dal Carcere), tro– va modo di capire: che il jazz tende a diffondersi tra le mas– se giovanili, che ingenera comportamenti collettivi, che esprime un linguaggio univer– sale, che ha rapporto con la globalità del sentire psichico. Insomma l'ha capita, ma l'ha capita storta perché a lui una musica cosi lo spaventa (non senza un fondo di razzismo quando si vuol sostenere che è musica « primitiva ed ele– mentare» il che è perlomeno una cazzata riferito al jazz afro-americano). Non a caso, il miglior testo (o uno dei migliori) che abbia un certo fondamento marxista e rivoluzionario e che parli di musica è stato scritto da un negro: Leroj Jones, Il popolo del blues (Einaudi). Senti un pò Copcon, seguo la tua rubrica con at– tenzione e mi sembri abba– stanza sconclusionato da po– terti chiedere una roba che non ho chiesto mai a nessu– no, non so perché. M'è suc– cesso questo: mio padre mi magnifica sempre mio nonno (defunto giovane, che non ho conosciuto) sembra che al mio paese fosse tra i fondatori d'una sezione dell'Internazio– nale (la Prima) e che avesse partecipato a una rivolta con– tadina durante la quale avreb– be aperto i granai del padre (latifondista). La vicenda mi ha interessato molto e ho vo– luto andare a vedere se era vera: sono andato al Comune e ho chiesto se potevo vedere gli archivi. Mi hanno chiesto: « perché? », e ho detto che volevo fare delle ricerche sulla mia famiglia, risalire a mio nonno, se c'erano dati su pro– cessi a suo carico, sulla sua corrispondenza col comune, dove abitava eccetera. L'im– piegato mi ha guardato come se fossi pazzo e mi ha rispo– sto di spulciare un volume di araldica che non c'entrava proprio un cazzo. Ora io chie– do: perché non ci fanno guar– dare nella nostra storia? Mio nonno è esistito veramente o è stata un'invenzione di mio padre? Perché non si può sapere il nostro passato, per- 43 chè ce lo proibiscono? Giancarlo Bellini, Jesi Già: è cosi. Ci impediscono di andare a vedere chi siamo. Un pò tutti abbiamo provato a risalire nel nostro io, a fare affiorare frammenti di incòn– scio, ma ben pochi hanno provato·come Kerouac ad an– darsene in Francia alla ricerca delle origini del proprio nome (Satori a Parigi). Quanto poi a fare diventare persona con– creta della gente che abbiamo vissuto solo come immagine presentataci da ·altri, questo è anche più difficile. Un po' ne abbiamo paura, perché po– tremmo scoprire una realtà diversa (per esempio, che so, che nostro padre nel '27 ha avuto un processo per furto). Comunque c'è lo Stato che ci salvaguarda da queste gioie o 'choc': non si può vedere, non si può sapere. Anche riguardo a cose meno personali: prova– te ad andare al Comune di Milano a chiedere di visitare l'archivio per ricerche perso– nali, che so, sul rapporto fabbriche-comune sotto il fa– scismo. Impossibile! Vi man– dano a cagare gentilmente. Provate ad andare alla Banca del vostro paese a chiedere dati per conoscere la storia del rapporto banca-territorio, banca-azienda agricola, ma– gari nel 1890. Niente: top se– cret! Ci fanno tanti discorsi sul fat- to che non studiamo la storia, ma quando vogliamo vera– mente sapere qualcosa ce lo precludono. Perché non sap– piamo com'è andato il proces– so di Gramsci? Perché non possiamo sapere un cazzo sulla corrispondenza intercor– sa a questo proposito tra la Russia e il governo Italiano? Perché non possiamo vedere le circolari dei suoi carcerieri? E lo sai, Giancarlo, che a Le– ningrado nell'archivio Marx- , Engels ci sono molti testi ine– diti di Marx che nessuno ha ancora visto? Lo sai che la prima edizione russa (da cui poi le altre) dello scritto di Marx, Per la critica della filo– sofia hegeliana del diritto pubblico, risale al 1955? Tu dici: voglio andare a vede– re come stanno le cose, ma– gari chl era veramente mio nonno, o mio bisnonno. Ti rispondono: no te lo rac– conto io, fidati. E coi sacri testi idem: aspetta cinquan– t'anni o cento, li leggo io te li «chioso» e poi ti faccio sape– re se val la pena. Tu comun– que ritorna al Comune, maga– ri con tanti altri e rompete il cazzo. Chiedete di potere stu– diare la vostra storia ignota. Anche la propria storia è una cosa che bisogna riprendersi.

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