RE NUDO - Anno VI - n. 37 - dicembre 1975
Repubblica propugna uno Stato dove sia abolita la pro– prietà privata, non ci sia la famiglia e sostiene che le donne sono pari agli uomini); è anticonformista, viene con– dannato a morte perché cor– rompe moralmente i giovani e introduce nuove idee; muore bevendo cicuta circondato da tutti i suoi amici. Accetta la sua morte, non ne ha paura; gli sembra giunta al momento giusto, fa sacrificare un gallo al dio della medicina per la sua «guarigione"· La morte era una cosa diversa da quel vuoto coperto da tabù e rimo– zioni cui oggi si è ridotta. Forse è ancor più rimossa della omosessualità. Che mondo diverso quello del vec– chio capo pellerossa del « po– polo degli uomini" che dice « oggi è proprio un buon gior– no per morire», va su una collina, si distende con calma ad attendere la morte, e, quando non viene, prende la sua coperta e se ne ritorna, sempre calmo, all'accampa– mento e alla vita. E noi? A noi manca l'ambiente, e un suffi– ciente amore della vita, per morire così. Ma torniamo davvero a so– crate. Socrate, tantissimo omo– sessuale, geloso e che provo– ca gelosie, e che, solo dentro questo mondo ricco di godi– menti sensibili e sensuali, fa filosofia partendo dai discorsi con gli amici e la gente della strada e gli artigiani del poito. Socrate che a volte improvvi– samente si ferma, senza con– formismi verso chi è con lui, a riflettere, da solo, per ore e ore, in silenzio; Socrate gran bevitore che gira di solito scalzo e con un piccolo man– tello consunto: eccolo il gran– de Filosofo. Proprio per que– sto tanto più grande e irricu– perabile dalla volgarità bor– ghese. E intorno ha una gran– de, meravigliosa città che in quel secolo (il V 0 ac) esprime un culmine di democrazia, di partecipazione, di arte, di vita popolare, di libertà, ad es.: Senofonte racconta di Socra– te convinto che il DOVERE di ogni cittadino è di OCCU– PARSI DEGLI AMICI E DEL– LA GITTA; ogni altra occupa– zione è indegna. Quindi deve avere tempo e modi per p9ter– lo fare, deve avere luoghi pub– blici e privati, spazio mentale e fisico sufficiente a sedersi intorno a un tavolo con gli amici a banchettare, bere e parlare per es. dell'amore. E questo è un DOVERE. Così come la partecipazione, cosicché tutti devono parteci– pare alle cariche pubbliche, fare i giudici, fàre esperienza di che cosa vuol dire giudica– re, e le giurie saranno di 400/500 persone perché il giu– dizio sia collettivo e nessuno venga corrotto. Rarissima– mente le condanne sono alla reclusione. La reclusione come pena è una delle idee moderne. È un. progresso, come si dice. In Grecia la naria occasione, pere e potevo, comp1acen o cerate, asco tare tutto quanto lui sapeva. Della mia bellezza ero incredibilmente superbo. Cosi, mentre prima stavo con lui insieme a un servo e mai solo, ora .congedato il servo, rimanevo solo con lui. Bisogna che vi dica tutta la verità: state attenti e se mento, Socrate, sbugiardami. Lo incontravo, amici da solo a solo. Pensavoche presto mi avrebbe fatto quei discorsi che un amante fa al suo amato quando sono soli. E ero pieno di gioia. Ma di tutto ciò non avveniva nulla. Discorreva con me come àl solito. Trascorsa insieme la giornata, mi piantava e partiva. Allora lo invitai a far ginnastica insieme. Mi esercitavo con lui sperando che lì avrei concluso qualcosa. Ebbene, egli faceva gli esercizi con me, e spesso la lotta, senza alcuno presente, e che debbo dire? non ne veniva fuori proprio nulla. Visto che in questo modo non ci riuscivo, mi parve necessario attaccare quest'uomo con la violenza, e non smettere, dal momento che avevo cominciato, finché la faccenda non si foss~ conclusa. Allora lo invito a cena proprio come un amante che tende la trappola. Ma neppure questo funzionava. Tuttavia, col tempo, si lasciò persuadere. Q_uandovenne la prima volta, appena finito di cenare voleva and;Ìrsene. Vergognandomi, lo lasciai partire. Ma di nuovo ripetei la trappola. Dopo ch'ebbe cenato m'intrattenni a parlare con lui fino a notte inoltrata. Quando volle andarsene, lo convinsi a rimanere col pretesto che era tardi. Riposavadunque sul letto vicino al mio: nella stanza non dormiva nessuno, solo noi due. Da qui in avanti non udreste il mio racconto se, come dice il proverbio, il vino non fosse veritiero. condanna era a multe, all'esi– lio, anche a morte, ma non alla reclusione. Mai a marcia– re inutilmente. E i non ricchi vengono pagati per poter fare i giudici, così come lo Stato rimborsa i cittadini che per una settimana di seguito se– guono in qualche luogo della Grecia le gare di teatro tra i grandi tragici e i grandi comi– ci dell'epoca (che si chiama– vano Eschilo, Sofocle Euripi– de, Aristofane). E in un teatro, dove lé!gente stava, con spuntini, per 7/8 ore al giorno a vedere se stes– sa e i propri miti rappresentati sulla scena, ci stavano 20/30 milél persone: veri pop– festival. .. Quando mai in seguito fu un dovere occuparsi degli amici e della città? Far filoso– fia e discutere di tutto? A quando un comitato centrale di Ao «sull'orgasmo»? Una riunione del parlamento sulla felicità? Non capita; e non capitava neanche allora. La , politica» come categoria della vita non lo consente. C'è 39 dell'altro da fare. Ma almeno, sulle spalle degli schiavi e delle donne che erano come schiavi, c'era qualcosa, nella vita complessiva dei cittadini_ di Atene in quel secolo, che somjgliava a una sensata im– magine di vita e di democra– zia. Oggi invece, siamo pro– prio tutti liberi: di fabbricare, di fabbricare, di progredire di progredire, di progredire. Dunque: fabbricare. Fermia– moci un attimo: cerchiamo un senso, in tutto. Per es., stabi– liamo un comandamento– obbligo di quest9 tipo: prima di far l'amore, prima di fare una fumata o un trip, calmia– moci un attimo e (da soli, in due, in tre, quanti siamo) fer– miamoci a cercar di sentire– capire che cosa facciamo, in silenzio senza stravolgerci di spiegazioni reciproche. Non facciamo le cose che costitui– scono la nostra soggettività quasi fossero naturali « come bere un caffè"· A volte non fare qualcosa è più utile che farlo: anche l'a– more, anche lo spinello. Me- Ancora 0991 m1 sen o come un uomo morso a una vipera. uan o dunque, si spense il lume e i servi furono usciti, mi parve che non fosse il caso di andar per il sottile. Gli disii liberamente quello che pensavo: «Socrate, dormi?"· «No» mi rispose. «Sai cosa penso?». «Che cosa? » disse. «Penso - risposi - che tu sei l'unico amante degno che io abbia e che però esiti a dichiararti. Ora io la vedo cosi: ritengo che sarebbe stupido se non ti compiacessi in questo come in tutto quello di cui tu avessi bisogno·,dei miei beni e dei miei amici. Per me nulla è più importan.te che divenire migliore, e cre!lo che, per questo, nessuno mi può essere di più valido aiuto. "'1ivergognerei di non concedermi a un uomo come te ». Egli mi stava a sentire. Poi, con quella solita aria innocente ed ironica, tutt;i sua: «Mio caro Alcibiade - disse - rischi di non essere affatto scipcco. In cambio di una bellezza apparente tenti di guadagnarci una bellezza v4,1ra e calcoli di scambiare « oro con rame». Lo ascoltai e poi: « Da parte mia, dissi, è così. T'ho detto quel che penso. Decidi tu quel che ritieni meglio per te e per me». lo naturalmente dopo quello che avevo udito e quello che avevo detto, credevo che fosse rimasto ferito. Mi rizzai e senza lasciargli dire più nulla lo ricopersi con il mantello che avevo (poiché era inverno), e, sdraiatomi, gettai le braccia attorno a quest'uomo veramente demonia– co e straordinario e passai con lui l'intera notte. Malgrado tutti questi mei sforzi, costui sdegnò e derise la mia bellezza. Ebbene, sappiatelo: io giuro, per gli dei e per le dee. Dormii con Socrate e mi levai né più né meno che se avessi dormito col padre o con un fratello maggiore!
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