RE NUDO - Anno VI - n. 35 - ottobre 1975
22 COMPAGNO DIFENDITI 1 ° non collaborare Evidentemente a molti compagni non è ancora entrato nella testa un principio fondamentale del processo penale: che l'imputato ha il diritto di non rispon– dere alle domande che gli vengono rivolte; che, comunque, ha il diritto di rac– contare tutte le balle che vuole. Immediata conseguenza pratica di questo pricipio è che in generale, quando si viene arrestati, non si deve mai rispondere alla polizia, né parlare con i poliziotti - e tanto meno fare ammissioni confidenziali - mentre è giusto, di regola, proclamarsi sempre innocente, anche contro ogni evidenza. Infatti non è consentito consultarsi con l'avvocato prima del primo interroga– torio ed allora c'è una cosa sola da fare, molto semplice e chiara: negare sem– pre negare. Sembrano cose semplicissime, ma siccome, per esperienza diretta, molti compagni quando vengono portati davanti al giudice non resistono alla ten– tazione di parlare, spiegare, ammettere qualcosa pensando cosi di essere più credibili, e siccome questa tentazione porta quasi sempre a risultati disastro– si, è forse il caso di fare degli esempi concreti, nei quali una chiara e semplice - magari anche spudorata - dichiarazione d'innocenza è servita a salvare da una condanna sicura. Nel giugno scorso, un musicista veniva fermato a bordo della sua auto da una pattuglia della Polizia Stradale. L'aspetto del guidatore-o una soffiata? - inducevano i poliziotti a perquisire l'auto cosi che saltava fuori, dal borsello del guidatore, un pezzetto di carta stagnola contenente - indovina un po'? - hashish. Immediatamente arrestato per detenzione di stupefacenti, il compa– gno, davanti al Procuratore della Repubblica, aveva l'intuizione di dichiararsi innocente, dicendo di ignorare che cosa contenesse il suo borsello, e di non aggiungere nient'altro. Al processo, tenutosi per direttissima a pochi giorni dall'arresto, si riusciva a dimostrare che il corpo di Polizia Stradale che aveva condotto l'operazione era un corpo« speciale» addetto alla lotta contro gli stupefacenti; che, quindi, la «scoperta» dell'hashish non era stata casuale, ma conseguenza di una vera e propria perquisizione; che la perquisizione era illegittima perché ese– guita senza alcun ordine del magistrato e senza che vi fosse alcun indizio - precedente - che vi era flagranza di reato; che, quindi, se la perquisizione era illegittima anche il successivo sequestro dell'hashish - unica prova dell'ac– cusa - doveva sparire dal processo. Conseguenza: l'imputato è stato assolto «perché il fatto non sussiste». Certo è andata bene perché si è trovato un Tribunale coraggioso che non ha esitato ad applicare i principi costituzionali ed a dar loro attuazione concreta. Ma è andata così soprattutto perché l'imputato, con il suo silenzio e con la sua "irrealista »dichiarazione di innocenza, non ha consentito all'accusa di affer– mare che, anche se dovevano sparire dal processo la perquisizione dell'auto ed il sequestro della sostanza stupefacente, rimaneva pur sempre, come pro– va, la confessione dell'imputato. Cosa che, vi assicuro, non è stato facile im– pedire al compagno di fare, tanto logico e naturale sembrava a lui ammettere che l'hashish trovato nel suo borsello era suo... A proposito di questo caso, si possono fare alcune considerazioni in merito alla questione della legittimità delle perquisizioni. A parte le recenti leggi sull'ordine pubblico, che autorizzano le perquisizioni di polizia quando ricorrono particolari circostanze - atteggiamento sospetto, vicinanza a luoghi pericolosi, ecc. - e soltanto con il rispetto di determinate formalità e per la ricerca di armi proprie o improprie, la polizia può perquisire una casa, un'auto, una persona soltanto in due casi: o perché ha un ordine del giudice o perché la persona è stata colta in flagranza di reato- cioè lo han– no beccato con le «mani nel sacco» o mentre sta scappando subilo dopo aver commesso un reato. Fuori di questi casi la perquisizione è illegittima, dal che consegue - o dovrebbe conseguire - che anche l'eventuale ritrovamento di cose che sarebbe meglio non avere con sé non può costituire prova a ca– rico del perquisito. Questi sonb i principi; tant'è un sacco di volle la Polizia fer– ma qualcuno e non ci pensa due volte a perquisire o lui o la macchina dove viaggia senza che ricorrano alcuni dei presupposti di legge. In questi casi, visto che è sconsigliabile opporsi «fisicamente» alla perqui– sizione, l'unica cosa da fare è invocare i propri diritti e lasciarli fare, senza na– turalmente prestare alcuna collaborazione. Dal momento che, se vogliono, la perquisizione la fanno lo stesso, c'è sempre la speranza di trovare un Tribu– nale che, come quello che ha assolto il compagno, riconosca la violazione di legge e dichiari tutto nullo. Sembrano cose ovvie; eppure sono all'ordine del giorno casi di compagni che, solo per togliere ai poliziotti il piacere di una tastata per il corpo o di un rovistamento generale in macchina, esibiscono spontaneamente quanto non dovrebbe essere in loro possesso. Cosi facendo si legittima una perquisizione che offende i principi costituliooa' sulla inviolabilità della persona e del do– micilio. 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