RE NUDO - Anno V - n. 24-25 - 1974
RE NUD0/8 Chi ci va? • Anche se qualcuno di noi s1 e il– luso di essere un dritto - ha scrit– to un compagno - la verità è che non abbiamo mai fatto pau– ra. Anche le nostre imprese più riuscite non graffiano nemmeno il sistema sociale dominante. Abbia– mo cominciato ad aprire gli occhi i padroni non ce l'hanno con noi, hanno bisogno di. noi. Se non ci fossimo ci inventerebbero •. Ecco questo mi sembra il punto di fondo. Il meccanismo di accumulazione ca– pitalistico ha bisogno di una parte del proletariato dc ...isarecome ri– catto contro la classe operaia oc– cupata per mantenere una sia pur precaria pace sociale a contenuti livelli salariali. Questa parte del proletariato (che Marx definiva e– sercito :...,dustriale di riserva) è composta da -disoccupati, occupati precari, sottoccupati, gente che cer– ca lavoro e non lo trova, contadini espulsi dalle campagne, immigrati respinti dalle città, uomini e donne che si trovano ogni giorno davanti al problema di sopravvivere. Il car– cere come momento finale della so– luzione privata che ognuno di loro cerca di dare a questo problema è lo sbocco più probabile che il si– stema impone a questa parte del popolo. I furti, le rapine, la ricetta– zione, le piccole truffe, il contrab– bando sono le tappe più frequenti verso il carcere e rappresentano una assurda talvolta inconsapevole protesta di un uomo contro il si– stema attuale, che lo esclude da una possibilità di vita normale ma· non lo esclude affatto, anzi, dallo sfruttamento e dalia repressione. Perchè il punto fondamentale - a mio parere - è che il proletariato non si definisce in quanto occu– pato, ma in quanto forza lavoro senza strumenti di produzione che comprende quindi sia gli attivi che gli inattivi. I quali ultimi non sono affatto marginali, ma altrettanto in– dispensabili dei primi; e come po– trebbe il regime capitalista ferma– re i salari, aumentare i cottimi, in– tensificare i ritmi, se non dispo– nesse di un esercito di riserva su cui far leva per ricattare gli occu– pati? Gli uni servono a produrre, gli altri a mantenere in equilibrio il sistema. Gli uni contro gli altri, come vuole il padrone. Il processo di accumulazione capitalistica non può andare avanti altrimenti, la di– soccupazione essendo la chiave di volta del sistema e i disoccupati, quindi, parte integrante dello schie– ramento di classe. I padroni sono sempre riusciti a imporre questa contrapposizione al- 1 'interno della classe operaia (nord contro sud, operai contro contadi– di, occupati contro disoccupati, ec– cetera). Chi accetta questa logica, che lo voglia o no, passa dalla parte dei padrone e fa il suo giuo- co. Ora è chiaro che per l'operaio occupato è possibile lavorare, so– pravvivere e • rifiutare una rispo– sta egoistica e soggettiva ai propri problemi •. Ma per gli altri prole– tari? Per i contadini espulsi dalle campagne? Per i meridionali immi– grati? Per gli occupati precari? Per gli abitanti delle baracche di legno e di fango delle grandi città? Per quelli che non ce-l'hanno un lavoro? Per quelli che non lo possono avere perchè il sistema ha bisogno della loro pressione sul mercato? Perchè è la condizione di disoccu– pazione palese o nascosta o di in– sufficienza di reddito o di insop– portabilità della condizione sociale che spinge a violare la legalità e apre le porte della galera. Un ope– rario della Vai di Susa, arrestato nel '71 con altri 19 compagni per le lotte alla Magnadyne, mi scriveva dopo un anno di carcere: " ...Il carcere non dovrebbe esiste– re proprio per niente. Non dico cer– to questo perchè ora ci sono io, ma ammetto che prima di venirci le mie convinzioni erano diverse. Quando leggevo di un omicidio, di una rapina, di un sequestro di per– sona, non potevo fare a meno di pensare alla necessità di condanna– re duramente chi aveva sbagliato, secondo il modo di pensare cor– rente. Ora mi sono convinto che tut– to ciò non solo non serve a nulla ma è anzi infinitamente peggiore di qualsiasi altra cosa che si possa fare. Una delle cose che si possono fare, dice qualcuno, è tentare di recuperare il condannato. Ma recuperarlo a che cosa? Recu– perarlo allo stesso mondo da cui è già uscito così duramente? Che è un mondo che porta tutta intiera la responsabilità degli atti commes– si da colui che sbaglia; dico tutta la responsabilità perchè sempre all'origine dei comportamento del– l'individuo e poi durante lo svol– gersi dei fatti vi è la influenza de– terminante della società in cui vi– ve.... li furto, la rapina, il sequestro hanno tutti, come origine, il biso– gno materiale di vivere ,sia che si tratti semplicemente di mangiare, quando non si riesce a trovare la– voro, o che si voglia migliorare il proprio livello di vita e non si rie– sca attraverso i canali che ci offre la società costituita, o che pl(f plicemente si rifiuti di vlve19 • baracchini • cioè da sfruttati r. galmente per tutta la vita, mantra vedi altre persone che non sann come fare a spendere I soldi elle ti rubano e allora scatta la molle "Ma perchè io devo vivere dastron– zo, da povero, tutta la vita?". Così è pure per l'omicidio, di qual– siasi tipo esso sia, che sia di onore o di interesse o altro. Quindi recu– perare nella migliore delle Ipotesi vorrebbe solamente dire reimmet– tere nello stesso circolo vizioso chi ha già tentato di uscirne, di uscire a modo suo, lndividuallstl– camente, dalla sopraffazione di classe che è in tutto ciò che cl circonda. Ma la società di oggi non tenta neppure questo, forse perchè sa che non è possibile per molti motivi. 1) Perchè sul reato e sul mondo che da esso deriva vivono cen– tinaia di migliaia di sfruttatori e cioè: magistratura, avvocati e accusatori, polizia carcerieri e altri che dimentico e che utiliz– zano una parte notevole, mi– gliaia di miliardi dei soldi della collettività. · 2) Perchè la classe dominante usa il reato come strumento politico per ingannare, attraverso gli or– gani di informazione che mono– polizza, il proletariato, convin– cendolo della necessità della re– pressione dei reati in nome del– la conservazione dei propri pri– vilegi •. Davanti a questa presa di coscien– za, da un lato i • politici • vedono crollare le loro convinzioni codine sulla criminalità, dall'altra i • co– muni • cancellano le loro diffiden– ze nei confronti della lotta politi– ca perchè capiscono che è proprio la rivolta individuale che non paga. Non si sentono mano a mano più detenuti,. ma sequestrati, matura la consapevolezza che l'ingiustizia compiuta è solo un tentativo inade– guato di riparare una ben maggiore ingiustizia subita. E così per loro, prodotto di una società disgregata, il carcere rap– presenta spesso il primo luogo di aggregazione. Proprio quando la re– pressione li raggiunge e li priva
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy