RE NUDO - Anno V - n. 24-25 - 1974

I Comlnclà così Le grandi lotte operaie e studente– sche del 1968-'69 portano in carcere molti compagni e con essi un ba– gaglio di Idee e di coscienza di classe attraverso il quale mi scri– verà più tardi un compagno dete– nuto comune • è iniziato un lento ma Irreversibile processo di matu– razione politica e sociale tendente a risolvere le contraddizioni che maggiormente contraddistinguono il detenuto comune •. Perchè questo è stato possibile dal '68 In poi e non prima, nelle varie ondate repressive che hanno se– gnato questi 30 anni di repubblica? Non è solo perchè questa volta i compagni erano più numerosi e sta– vano In carcere più a lungo ma è soprattutto perchè, secondo me, c'è stata una nuova mentalità, i compa– gni si sono presentati con una men– talità diversa più aperta verso il carcere. I compagni non si sono rinchiusi nelle celle a studiare e a scrivere soltanto, rifiutando i contatti nelle ore d'aria, isolandosi dai cosiddetti delinquenti ma, forse più per intui– zione che per analisi. cercavano cioè di vivere e di analizzare quella realtà dall'interno. Perchè ogni realtà è legata a un meccanismo economico e ogni mec– canismo economico a un rapporto di produzione e questo a una divi– sione fra sfruttati e sfruttatori che è necessario smascherare per ri– condurre poi il discorso a livello politico. Cosl, dai primi incontri all'aria fra • politici • e • comuni •, all'inizio non certo privi di riserve e di diffi– denze reciproche, dagli scambi di libri e di giornali, dall'opposizione a un trasferimento ingiusto, dalle prime discussioni sulle notizie del giorno, dalla difesa di un compagno punito, si sviluppa lentamente un terreno comune di crescita politica dove gli uni e gli altri conoscendosi capiscono cose nuove. Quali? Co– s'è Il carcere? Che funzione ha? Chi cl va? I Cos'è Il carcere? • Non voglio Impazzire, voglio rima– nere un uomo - ml scrive un ra– gazzo di 26 anni - voglio conti– nuare a soffrire per rimanere uo– mo, se parto col cervello e ml la– scto andare divento quello che loro vo9llono, quello che hanno cercato di fare di me·fuori senza riuscirci •. Ecco; il nostro voglio vivere, voglio essere un uomo per capire per esprimermi per lottare viene ca– strato sia • dentro • che • fuori •. In questo senso il carcere non è affatto qualcosa di atipico, un corpo estraneo nella società. Anzi. Come per esempio la scuola, la fabbri– ca, la famiglia, la caserma è un microcosmo della società borghese, con questa differenza solo rispetto alle altre istituzioni, che in galera finisce qualsiasi mediazione, qual– siasi parvenza di consenso. Lì, es– sendo una istituzione chiusa, il fa– scismo di stato non ha bisogno di coperture democratiche, e dà via libera alle forme più brutali di sfruttamento, repressione, sadismo. In questo senso, e solo in questo senso c'è una frontiera fra carcere e fuori. Infatti il meccanismo di accumulazione capitalistico è lo stesso e uguali le sue leggi, e uguale la divisione fra sfruttati e sfruttatori, ma la frontiera divide un mondo in cui la maschera è ca– duta e dove per esempio la follia e la morte (anche il suicidio) sono rischi quotidiani per chi vuole rima– nere umano. A cosa serve • Questi signori hanno scritto sulla loro costituzione - scriveva un gruppo di compagni carcerati a Lotta Continua nel 1971 - e ripe– tono ai quattro venti che la pena non tende a punire, bensì a riedu– care. Sembra che ci sia una con– traddizione clamorosa. Ma a guar– dare bene non c'è. Basta spostare lo sguardo dal carcere alla vita sociale. In carcere per loro riedu– care vuol dire affliggere. Fuori educare vuol dire affliggere allo stesso modo, soffocando l'in– telligenza, la creatività, la serenità, la solidarietà per imporre la forza, la disciplina autoritaria, l'egoismo, la divisione, la miseria, la passi– vità. Il carattere afflittivo, irrazio– nale della pena non è casuale e non è una gratuita cattiveria. E' necessario. E' così che si coltiva il seme della cosiddetta crimina– lità, gettato nella società e alimen– tato in galera come in una serra. La galera trasforma il reato episo– dico in delinquenza abituale e ga– rantisce la perpetuazione del tasso di delinquenza necessario allo svi– luppo equilibrato del sistema. Il carcere è un'azienda produttiva che riproduce che riproduce continua– mente dal suo interno i propri clienti •. Come fanno? Intanto met– tono a contatto i pivelli, i giovani, gli occasionali con gente incallita dall'illegalità, poi li reprimono a un punto tale da suscitare in loro un senso di rivolta che non si era– no mai sognati, poi con la recidiva (di fianco in un riquadro spieghia– mo cos'è) completano il lavoro. Ma non basta: ci sono il lavoro, l'istruzione e la religione. Lavoro: il detenuto viene torchiato per po– chi soldi (vedi tabella) in un'atti– vità idiota, ripetitiva, alienante e spesso pericolosa. Istruzione e religione: principali materie d'insegnamento, gerarchia, obbedienza, rassegnazione, servili– smo, delazione. E per finire il detenuto viene spo– gliato della sua umanità attraverso promiscuità, umiliazioni varie (sa– pete cos'è la perquisizione anche?) sporcizia, assenza di rapporti ses– suali, assenza di diritti civili. E allora risulta chiaro - mi sem– bra - come gli aspetti del sadi– smo carcerario non siano affatto abberrazioni di un singolo dirigente paranoico (come crede l'opinione pubblica che ama definirsi democra– tica) ma la risposta normale alla funzione normale che lo stato de– manda all'istituzione carceraria: re– stituire alla società dei veri delin– quenti o delle larve o dei morti.

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