RE NUDO - Anno III - n. 13 - giugno 1972
tutti uguali inkarcere Questa lettera che abbiamo avuto dal collettivo-carcere di Roma ci sembra la risposta più valida per chi ancora parla con disprezzo dei detenuti comuni. ...uno legge con attenzione ciò che ricorda carcere e detenuti solo quando abbia fatto la sua brava esperienza in materia oppure la stia facendo com'è il mio caso. Ora ti assicuro che quando uscirò spe– ro presto, riserverò qualche bri– ciolo (!) del mio tempo a seguire anche questo campo d'azione, per– ché ritengo che sia una istituzione realmente terribile sotto qualsiasi aspetto uno la guardi. .. Il carcere non dovrebbe esistere per niente. Non dico certo questo perché ci sono io, ma ammetto che prima di venirci le me convin– zioni erano diverse. Quando legge– vo di un omicidio, di una rapina di un sequestro di persona, no~ potevo fare a meno di pensare al– la necessità di condannare dura– mente chi aveva sbagliato, secon– d0 il modo di pensare corrente. Ora mi sono convinto che tutto ciò, non solo non serve a niente, ma è anzi infinitamente peggiore di qualsiasi altra cosa si possa fare. Una delle cose che si possono fare, dice qualcuno, è tentare di recupe– rare il condannato. Ma recuperarlo a che cosa? Recuperarlo allo stes– so modo da cui è uscito così du– ramente? Che è un mondo che porta tutta intera la responsabilità degli atti commessi da colui che sbaglia. Dico tutta la responsabili– tà perché sempre all'origine del comportamento dell'individuo e poi durante tutto lo svolgersi dei fatti vi è l'influenza determinante della società in cui vive ... Il furto, la rapina, il sequestro, han– no tutti come origne, il bisogno ma– teriale di vivere, sia che si tratti semplicemente di mangiare quan– do non si riesce a trovare lavoro, o che si voglia migliorare il proprio livello di vita e non si riesca at– traverso i canali che ci offre la so– cietà costituta o che più sempli– cemente si rifiuti di vivere da « ba– racchini » cioè da sfruttati legal– mente per tutta la vita, mentre ve– di altre persone che non sanno come fare a spendere i soldi che ti rubano e allora scatta la molla « ma perché io devo vivere da stronzo, da povero tutta la vita?». Così è pure per l'omicidio, di qual- siasi tipo esso sia, che sia d'onore d'interesse od altro. Quindi recuperare, nella migliore delle ipotesi, vorrebbe solamente dire rimettere nello stesso circolo vizioso chi ha tentato di uscirne, di uscire a modo suo, individuali– sticamente, dalla sopraffazione di classe che è in tutto ciò che ci circonda. Ma la società di oggi non tenta neppure questo, forse perché sa che non è possibile per molti moti– vi: 1) perché sul reato e sul mon– do che da esso deriva, vivono cen– tinaia di migliaia di sfruttatori e cioè: magistratura·, avvocati e ac– cusatori, carcerieri ed altri che di– mentico, che utilizzano una parte notevole, migliaia e migliaia di mi– liardi dei soldi della collettività. 2) perché la classe dominante usa il reato come strumento politico per ingannare attraverso gli organi di informazione che monopolizza, il proletariato, convincendolo della necessità della repressione dei reati in nome della - conservazio– ne dei propri privilegi. Non credo neppure nella riforma del codice o dell'ordinamento car– cerario se non sono accompagnati da una presa di coscienza dei de– tenuti come componente oppressa dal proletariato. Servirebbero sì, ma solo a togliere da questo schifo un po' di gente. Personalmente credo nel valore di un'azione costante nostra, tendente a fare prendere coscienza da un lato al detenuto, e dall'altro ai pro– letari fuori, che il carcere è un luogo di repressione che si sconfig– ge con una lotta continua, dentro , e fuori, su tutti i terreni possibili, da quello delle rivendicazioni oer obiettivi immediati dentro le car– ceri (amnistia: riforl"Fla carceraria, bisogni materiali nella scuola e nella fabbrica, e anche .alta lotta in Parlamento). Sono convinto che è un luogo di perdizione, ma se qualcuno avesse posto cori f0rza il problema dell'amnistia e della ri– forma dei codici anche in quel ca– so. E insomma ovunque si possa agire per creare coscienza. Dob– biamo fare l'uomo nuovo per fare la società nuova. (Questo compagno di Torino, ar– restato da un anno, è in attesa di giudizio assieme ad altri compa– gni, 19 · per · l'esa'ttezza, imputato dii reati politici per le lotte alla Ma– gnadyne). Eerbo
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