Quaderni di Roma - anno II - n. 5-6 - set.-dic. 1948

JEAN PAUL SARTRE 4II Rende pensosi rilevare che le due forze che ai politici ed ai teologi appaiono come i due poli opposti dell'Evo contemporaneo: il cattolicesimo ed il comunismo: hanno ugualmente condannato le sue opere. La Chiesa di Roma le ha messe all'Indice. E la Pravda le ha relegate oltre confine. Intanto lo scrittore, che non sarebbe degno di stare né con gli angeli né con i ribelli, alterna alle soste fatte nel suo appartamento - impressionante dicono! - di via Bonaparte, le soste fatte fra i famosi e slittevoli tavolini di Saint-Germain-de-Prés. Ha accettata la vita, che proclama assurda, e la vive senza gioia. Dimentico che, teso a proteggerlo anche nell'abiura, l'umile campanile benedettino, gli sta vicino, fitto come ancora nel cielo. Esso, che ha visto palpitare ed annullarsi la bestemmia di tanti fantasmi gloriosi e ciechi. * * * Ma in fondo, in fondo, la rappresentazione di Huis clos - insisto su questa commedia - ha lasciato davvero lo spettatore acuto in una convinzione di ateismo, d'immoralità e di odio? O piuttosto, mostrandogli viziose miserie e nullità contingenti lo ha ricollegato a un responsabile e doveroso esistenzialismo? Non mi perito di azzardare che il Sartre più che un ateo è un tormentato. Egli afferma, se pur negativamente, il principio mistico: _perché ogni fenomeno di nascita, di morte e di trascendenza di Ego, appunto per essere un fenomeno, include il mistero. Colui che ammette vicino al mistero l'angoscia ammette, senza pronunziarlo, Dio ed il senso religioso della vita. Inoltre, giungendo ad affermare la realtà del nulla che s'immedesima con la coscienza umana, umilia nobilmente l'essere non nel mistero della sua accidentalità, ma nel mistero della propria piccolezza ed ignoranza dinanzi all'incomprensibile forza vitale che anima l'Universo. Pur dilaniato da questo enigma, che chiama assurdo perché non lo afferra, fa accettare all' individuo la vita cosl com'è, come appare, e l'induce ai portarvi l'impegno della propria personalità. Che importa questo, soggiungono i moralisti, se egli disconosce ogni morale, permettendo l'anarchia? La proclama, ma la condanna. Se fosse un immorale soddisfatto, convinto, non porrebbe gli immorali e se stesso in un inferno d'angoscia, ma li abbaglierebbe e si abbaglierebbe nei paradisi artificiali proprt di chi si sente al di sopra di ogni morale. Invece ammette l'inferno; e per conseguenza la pena; l'espiazione a cui i peccatori Estella, Ines, Garcin non possono sottrarsi. Ed ammette anche un Paradiso divino se si riflette sul rimorso di Garcin, quasi nostalgia di una virtù e di una perfezione rese ormai impossibili dalla Morte.

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