CHATEAUBRIAND Diremo che non sempre Chateaubriand ha retto ad esami e confronti di questo genere. Gli attacchi partivano da chi aveva tutt'altre convinzioni in proposito. Quando, nell'Ottocento e fino ai nostri giorni, si affermava un'idea del!' autobiografia molto più vicina al diario che al racconto, alla storia, e che fosse la sede della «verità», in un'esplorazione segreta e senza misericordia, in un tentativo di scavalcare anche la censura morale, i « Mémoires d'outre-tombe » apparvero come il racconto di un grande e poetico personaggio, non di un uomo. Per molti erano assai più ghiotte alcune confessioni di Rousseau che la registrazione degli alti gemiti di René. E così quando cominciò ad affermarsi l'idea di una prosa asciutta, secca, nervosa, la prosa stendhaliana, lo stile di Chateaupriand apparve un po' invecchiato. Gli attacchi coincidevano con una presa di posizione verso il primo romanticismo: tendevano a consolidare una poetica, che certamente non era quella di Chate~ubriand. Ma non perciò Chateaubriand poteva essere respinto. Lo stile di Stendhal ( di uno scrittore, cioè, che dichiarò più volte di non amare Chateaubriand) non abolisce il superbo stile in cui furono scritti i « Mémoires ». Se si deve considerare uno stile non astrattamente, ma in rapporto ad una sua capacità espressiva, di rendimento, nessuno potrà affermare che lo stile di Chateaubriand, che Joubert somigliava a quel famoso metallo che nell'incendio di Corinto si era formato dalla mescolanza di tutti gli altri, e che ha prodotto tante pagine di una inimitabile bellezza, non sia valido. Di una tale validità, dell'arricchimento che ne derivava alla prosa francese, delle sue possibilità di sviluppo in un senso moderno oggi è più che mai facile rendersi conto: in quale senso cioè Chateaubriand, partendo da alcune esperienze rousseauiane (penso alla « Reveries du promeneur solitaire »), abbia allargato i confini imposti retoricamente alla prosa, abbia reso più indecisa la linea di demarcazione tra la prosa e la poesia, posizione che ha prodotto con i suoi eccessi qualcuna delle opere più pure e più lavorate dell'Ottocento. Cosa sarebbero stati i poemi in prosa dell'Ottocento e del Novecento se Chateaubriand non avesse fatto quelle sue prime prove già così ardue? E non si riscontrano già in lui i primi esempi di quella prosa poetica, musicale, senza ritmo e senza rima, adatta a rendere i movimenti lirici dell'anima, di cui si parla nella prefazione allo « Spleen de Paris »? Una musica non sottoposta ad un tono fondamentale, non incatenata alle leggi della prosodia e del contrappunto, ma vasta e apei:ta come « la voix des grandes eaux ». GIOVANNI MACCHIA
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