GIOVANNI MACCHIA conduceva Chateaubriand verso l'azione, ma non così che ess a non risorgesse più tardi e non imponesse, a quanto egli faceva, una r isoluzione di ordine intellettuale e poetico, in cui pur s'esprimesse quel s entimento di solitudine, quell'alta malinconia, il senso del tempo e della morte, e la caducità di tutto, dal colore della foglia al fiato delle stagion i. Ma questa stessa risoluzione, - nella fantasia o nel racconto autobiografi co - al contrario che per i fervidi seguaci di un misticismo estetico o per i puri poeti della memoria, si rivelava sempre inadeguata, e riproponeva le stesse ansie, le stesse evasioni pratiche. Questo può anche risultare dalla composizione dei « Mémoires d'outretombe ». Come si sa, la composizione dei « Mémoires » accompagnò Chateaubriand per alcuni decenni; essi nacquero, sembra, da un'oscu ra delusione, da un senso di torbida noia verso un presente vano, da una stanchezza verso le finzioni della propria fantasia (quelle che avevano s ostenuto fin allora la sua attività letteraria) e dall'amore di sé e dalla poe sia del passato. Ma il ricordo non assorbiva, nella ricreazione, l'auto re al punto che la stessa sua vita, in quella disposizione fondamentale, ne venisse arrestata o deviata. I « Mémoires d'outre-tombe » non possono venir scambiati con una ottocentesca « Recherche du temps perdu >>. Quell'attrazione verso le om)jre, quel gusto della morte, nel lento deposito d ella polvere che morde le immagini e le sgretola fino a cancellarle, non soff ocava d'altra parte gli slanci di un io libero, attuale, che ardeva di scrivere il suo nome in magnifici caratteri su una lastra di bronzo. E così, mano a mano, tutto quello che era accaduto, veniva scritto, ripreso e fuso, per la costruzione di un monumento, il monu mento a se stesso, al proprio io salvato sempre dai vari e ricorrenti perico li di annientamento. Dichiari pure Chateaubriand che nessuno quanto lui si era creato una società reale invocando delle ombre; che la vita dei suoi r icordi assor• biva il sentimento della sua vita reale; che nessuno poteva divenire suo compagno se non fosse passato attraverso la tomba, e che ci ò lo portava a credere di essere già un morto. Egli continuava a creder e nel valore morale, oltre che poetico, della propria vita. E raccontava tutt o, togliendo forse alcune cose, abbellendo alcune altre, e tutto in funzion e di sé, cercando di scolpirsi una statua che il tempo avrebbe certamente corroso, ma che, un giorno, come una rovina, quelle rovine di cui parla nel << Génie du Christianisme », avrebbe gettato una grande moralità in mezzo alle scene della natura. • • • Durante un secolo, dunque, quella statua ha subito i suoi dann i. L'im- presa che invogliava era di farla discendere dalle ampie e lu minose alte gallerie della storia dove sedeva per osservare nella statua l'uomo e lo scrittore. Su ciò faremo, per finire, alcune brevi considerazion i.
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