Quaderni di Roma - anno II - n. 5-6 - set.-dic. 1948

CHATEAUBRIANp 399 di fede votata sino alle ultime conseguenze ai fini di un partito, non fu affar suo: solo da questo punto, da un punto fissato fuori della storia, solitario ed immoto, qualcuno, di educazione anch'egli settecentesca, può rimproverargli il suo giovanile volte-/ ace in materia religiosa, o qualche altro può rimproverargli il suo volte-face in materia politica. Uomo d'ancien régime, monarchico, egli tenne a distinguere la sua posizione da quella, per esempio, di un Joseph de Maistre e di altrettali assoluti difensori dei troni e del!' altare; avvertì i pericoli che minacciavano una monarchia, che volesse ancora pomposamente sostenersi sopra decrepiti principi. Che questo « ultra » fosse poi nell'intimo un liberale, è certo una contraddizione, ma che fa onore a chi ebbe il coraggio di affrontarla. E diceva di non essere repubblicano, sebbene vedesse distintamente che il mondo andava verso la Repubblica per l'incapacità degli uni e per la superiorità degli altri, e sebbene il suo spirito concepisse perfettamente quella specie di libertà popolare che gli antichi non conobbero e che il perfezionarsi della società conduceva per forza fino alla sua epoca. * * * Ma altre ragioni, non di natura politica, crediamo pesassero sul suo comportamento, decidessero degli atti più importanti, più luminosi della sua biografia. A considerarli, vi si avverte l'obbedienza quasi ad una forma di sublimità morale, come se un atto dovesse tendere romanticamente verso una propria bellezza, e potesse definirsi tale solo se sfugge al piccolo automa dell'utile personale e vi si oppone risolutamente, e fa brillare la personalità nel contrasto e nell'opposizione, nella luce di un sacrificio, che non venga scambiato con fatalità o destino. Ci si fermi un attimo su una scena famosa: Chateaubriand alla Camera dei Pari nella seduta in cui si sarebbe dovuto prestar giuramento al nuovo re, e il suo discorso dinanzi all'assemblea allibita. Non per devozione sentimentale, egli disse, difendeva una causa, che, se avesse trionfato, si sarebbe rivolta ancora contro di lui; egli non tendeva né al romanzo, né alla cavalleria, né al martirio; non credeva al diritto divino della regalità e credeva invece nella forza della rivoluzione e dei fatti .... Inutile Cassandra, aveva annoiato abbastanza la Corona e la patria con i suoi disdegnati avvertimenti. Non gli rimaneva - aggiunse con immagine pittoresca - che sedersi sui relitti di un naufragio che aveva tante volte predetto. Riconosceva alla disgrazia ogni sorta di potere, fuorché quello di scioglierlo dai suoi giuramenti di fedeltà. Dopo tutto ciò che aveva fatto, detto e scritto per i Borboni, si sarebbe considerato l'ultimo dei miserabili se li avesse rinnegati al momento in cui, per la terza ed ultima volta, si avviavano verso l' esilio. Raccontando egli stesso quella scena, fermò con brevi tratti, con una compiacenza mal dissimulata, il distacco che quelle pa1ole avevano operato tra sé e gli altri: la contrapposizione tra lui _solo,eroico nel suo malhr;ur,

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==