CHATEAUBRIAND 397 A limitarsi agli elementi più esterni della sua biografia - cioè, a considerare la biografia semplicemente come una capacità dinamica di produrre fatti, di provocare incontri, di tentare scoperte, esplorazioni ecc. - c'è in Chateaubriand molto più di quanto sia necessario per solleticare la fantasia di un torpido facitore di vite romanzate: nomi di uomini famosi, di primissimo piano nella storia del mondo, quali forse nemmeno Voltaire potrebbe vantarne tra le sue referenze, nomi di città antichissime e di città recenti, di paesaggi vetusti e di altri rivelati in terre ignote, selvagge, nomi di luoghi resi celebri da un assedio, da un congresso, da un trattato. Senza voler valutare quel che egli fece, Chateaubriand si presenta già quale un personaggio straordinario, meraviglioso, che, come l'eroe di un romanzo d'avventure, lega insieme, nel filo della propria vita, avvenimenti, uomini e paesi in cinquant'anni: un itinerario geografico che dall'America porta fino a Gerusalemme, ed un sommario storico che dall'ancien régime, attraverso la Rivoluzione, l'Impero, la Restaurazione, la Monarchia di Luglio, arriva alle soglie della seconda Repubblica. Potrebbe dare fastidio rileggersi le pagine scritte nel 1833 come prefazione ai « Mémoires d'outre-tombe », se essi non ci permettessero di avvicinare Chateaubriand dal punto più facile e visibile, nel suo aspetto forse urtante per molti, ma certo più evidente e colorito. Come un vecchio che, spingendo lo sguardo sul suo lungo passato, in una rappresentazione ridotta ai casi ed agli eventi, non gli resti negli occhi che una ridda di attori, in un luccicare intenso di insegne, di armi, di divise, e poi le cadute nella solitudine, quando la scena si fa deserta; è questa la posizione che risalta da quelle pagine famose, e che ritorna poi qua e là in tanti altri luoghi. Il mondo come un colossale teatro, ove si produce un drammone variatissimo, con infiniti cambiamenti di quadro, e l'esaltazione dello scrittore che, se di quel dramma non può dirsi il principale protagonista, è almeno apparso in quasi tutte le scene, vestito in fogge innumerevoli, con la casacca di pelle d'orso del selvaggio, o con il caffettano di seta del Turco, o con la divisa d'ambasciatore ricamata d'oro. E sempre distinto da un oggetto: dal bastone del viaggiatore, dal moschetto del soldato, dal bordone del pellegrino. Di quel dramma, dunque, Chateaubriand non fu il principale attore, tra i tanti che ve ne furono, nell'ampiezza con cui la vicenda si sviluppò nel tempo. Ma se di lui fossero per avventura perite le grandi fluviali opere letterarie, il suo nome non sarebbe dopo tale disastro cancellato dalla storia di Francia. Si vuol dire che quella trasformazione d'abiti, quella varietà di pose in cui si compiacque, come un susseguirsi di autoritratti, è un fenomeno che non può essere scambiato con una forma di istrionismo letterario; in quanto i rapporti che Chateaubriand svolse con la società più alta del suo tempo, non furono quelli di un ambizioso avventuriero, ma rapporti politici, regolati da idee, da personali convincimenti, sia pur situati entro un
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