392 PIETRO ROMANELLI ora elencati, perché fatto oggetto di esame anche pochi anni or sono da un topografo di valore, il Gjerstad, e dal Goidanich, senza che nemmeno essi, dopo il Petersen, il Pinza, l'Hiilsen, che ne avevano trattato prima, siano potuti arrivare ad alcun risultato accettabile: sì che il Lugli, nel suo ultimo volume già citato Monumenti minori del Foro Romano, dopo aver passato in rassegna le teorie dei diversi studiosi, ha dovuto concludere che, al di là di alcuni punti di carattere generale (su taluni dei quali tuttavia è forse lecito essere meno recisi di quel che egli sembri essere), non si può andare, e che la topografia e la storia dei successivi rialzamen.i e mutamenti del Comizio sono ancora un « rompicapo » o un « logogrifo » di difficile, se non di impossibile soluzione. I punti sui quali io affacciavo poco fa qualche riserva sono appunto quelli che riguardano i monumenti che ho prima nominati: il basamento ad U, il basamento quadrangolare dietro ad esso, il tronco di colonna conica, e più precisamente l'età in cui ciascuno di essi fu posto dove lo scavo lo ha rimesso in luce: può essere esatta la loro cronologia relativa, la loro successione, ma sulla cronologia assoluta di tutti e dei singoli è forse ancora da dire l'ultima parola. · Nelle prime relazioni dopo la scoperta, quelle del Boni e del Gamurrini, dando valore agli oggetti più antichi rinvenuti frammisti a ceneri e carboni negli strati interposti tra il lastricato di marmo nero che copre i monumenti e la spianata tufacea sulla quale essi poggiano, oggetti che impropriamente furono designati col nome di stipe (ché di stipe non si può a rigore parlare, trattandosi di materiali diversi per età e per natura e senza, nel loro complesso, alcun carattere sacro, anche se con essi abbondino resti di animali), si parlò del VI sec. come del!' età alla quale quei monumenti dovevano riportarsi: ma subito dopo un limpido, seppur breve, rapporto del Savignoni che ebbe ad esaminare e a catalogare la cosiddetta stipe, e alcune ponderate osservazioni del De Sanctis toglievano giustamente ogni valore cronologico a quegli oggetti: poiché insieme ad essi erano stati raccolti frammenti ceramici più tardi, fino del II-I sec. a. C., scaglie di marmo forse pentelico e dello stesso marmo nero usato per il lastricato di copertura: sì che in nessuna maniera poteva parlarsi di necessaria contemporaneità fra quegli oggetti e i monumenti scoperti: il materiale trovato intorno e sopra a questi era evidentemente un materiale di riempimento, contenente oggetti e pezzi di varia età, dal VI al I sec. a. C.: è ovvio che esso poteva dare il terminus ad quem del riempimento stesso, il I sec. a. C., e nulla più. La relazione particolareggiata dello scavo, che il Boni avrebbe dovuto dare, è rimasta fino ad oggi inedita, ed è tra le (poche, purtroppo) carte dell'insigne archeologo ancora conservate negli archivi del Foro: la relazione non ebbe dall'autore l'ultima rifinitura, e, come è naturale, dati l'indole dell'autore stesso e il tempo trascorso, contiene parti che soprattutto oggi non avrebbero o non hanno più alcun inte-
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