Quaderni di Roma - anno II - n. 5-6 - set.-dic. 1948

PIETRO ROMANELLI loro segreto: al contrario, come sempre, ogni ulteriore progresso degli studi, se risolve taluni problemi, altri nuovi ne pone e gli orizzonti, anziché chiudersi nei limiti prima intravisti, si ampliano. E può essere oggi non inutile, a cinquanta anni da quelle scoperte, allargando lo sguardo a tutti quei monumenti noti o ancora ignoti del Foro Romano e del Palatino, che si ricollegano,' nella tradizione più che nella storia, alle origini di Roma, fermare l'attenzione su·quello che sappiamo, e su quello che ignoriamo di quei monumenti, su quello che è da pensare e da sperare che l'esplorazione ulteriore possa farci conoscere (e confesso che, Deo f avente e.... mezzi finanziari permettendolo, è mio proposito dedicare a questo i miei sforzi maggiori), e su quello di che invece presumibilmente poco o nulla riusciremo mai a sapere. E poiché un ordine in ogni esposizione ha da seguirsi, mi piace scegliere quello che, ispirandosi alle leggendarie vicende del mitico fondatore di Roma, Romolo, potrà agevolmente guidarci di volta in volta ai luoghi che con quelle vicende sono più o meno direttamente connessi. Il primo è la grotta del Lupercale, al cui ingresso, sotto il fico ruminale, la cesta, nella quale i due gemelli erano stati esposti per perderli, si fermò quando le acque del Tevere ritirandosi la lasciarono in secco, e nella quale essi furono allattati dalla lupa e curati dal pastore Faustolo. La grotta resiste ancora tenacemente alle ricerche degli archeologi e si cela tuttora, non sappiamo precisamente in qual punto, sotto la terra che la ricopre: ché le identificazioni che di essa furono fatte o vantate in vari tempi (il Gori al principio dell'S00 credette di riconoscerla in una specie di grande cisterna, più che vero ninfeo, presso la chiesa di Santa Anastasia; le vecchie guide danno questo nome ad una piccola grotta sotto i resti delle pit1 antiche mura del Palatino, ali' angolo nord-ovest di esso) non hanno alcun fondamento di verosimiglianza. Tentativi per ritrovarla furono fatti dal Boni e dal Bartoli, sempre sotto quest'angolo nord-ovest del colle, ma senza frutto: non è da escludere tuttavia che gli scavi del Bartoli, se avessero potuto essere ancora proseguiti in strati più profondi di quelli ai quali, per molteplici ragioni indipendenti dalla volontà dello scavatore, ~i arrestarono, avrebbero forse potuto dar qualche frutto. Forse dico, perché non è d'altra parte da tenere per certo che quella grotta esista ancora, almeno in condizioni tali da essere riconosciuta ove lo scavo ci riporti innanzi ad essa. Degli antichi scrittori quello che più ampia e meno vaga notizia ci dà del Lupercale è Dionigi di Alicarnasso, che ne scrisse probabilmente dopo che il luogo era stato rimesso in onore e fatto oggetto di opere di sistemazione da parte di Augusto, come apprendiamo dal testo delle Res gestae. Scrive Dionigi una prima volta (I, 32), parlando del primo stabilirsi sul Palatino degli Arcadi, ai quali risalirebbe l'origine del culto di Pan, che

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