Quaderni di Roma - anno II - n. 5-6 - set.-dic. 1948

STORICITÀ DELLE LINGUE 379 concretezza, secondo un rapporto più particolare (dualistico, donde il duale, massa o gruppo, donde il collettivo), e che più si manifesta nella contrapposizione fra la nozione astratta ( il gatto, i gatti in generale) e la nozione concreta ( il singolo gatto, i singoli gatti). L'estensione su cui si esercita la categoria dell'identità nell'ambito del rapporto in cui l'analisi articola l'intuizione, affinché da dato unitario puntuale della coscienza diventi rappresentazione, deriva indubbiamente dal grado in cui il rapporto per se stesso viene obiettivato nella sua nuda entità, cioè libero dall'interferire di altri rapporti che necessariamente ne restringono l'estensione. Poiché, infatti, la concretezza della rappresentazione viene raggiunta nell'atto linguistico, mediante il convergere di varie categorie di rapporto, che restringe sin::> all'individuale il valore generale del segno, l'estensione di validità del rapporto sintattico da esso indicato, cioè la sua obiettivazione, è in proporzione della sua purezza. Un esempio: mentre nelle lingue arioeuropee il verbo indica soltanto la persona e il numero del soggetto, le lingue semitiche indicano anche in parte il genere della persona. Nelle lingue americane si ha il cosidetto verbum plurale, in cui la forma verbale, se transitiva, è determinata dal numero del complemento oggetto: cosl, se questo è plurale, il verbo ha raddoppiamento, oppure presenta una forma suppletiva. Evidentemente qui la nozione verbale si rivela ancora legata a determinazioni concrete gravitanti non solo sul soggetto, ma anche sull'oggetto. In una lingua moderna come l'inglese il verbo appare quasi ridotto al mero segno lessicale: / want, we want, yott want, they want e la determinazione della persona e del numero viene conseguita a parte con il soggetto che regge. Indubbiamente, in questa differenza è da vedere un diverso grado dell'obiettivazione per sé della nozione verbale, in quanto nelle lingue arioeuropee la forma include il numero e la persona, in semitico, in parte, anche il genere del soggetto, nelle lingue americane il numero dell'oggetto. Invece nell'inglese il verbo (salvo che per la terza persona) appare nella sua più pura e generale nozione lessicale, poiché la nozione del numero e della persona è stata unificata nelle forme nominali. Se si riuscisse a fissare i momenti originari del segno morfologico, in maniera da svelare l'atteggiamento della coscienza da cui mosse quel dato valore, la conoscenza della fisionomia intellettuale che nella lingua si rispecchia ne sarebbe assai avvantaggiata. Mentre il segno lessicale ha origine da tutto il moto della coscienza e ha perciò alle sue radici momenti creativi di ordine estetico, logico e pratico, il morfema riflette un aspetto particolare dell'analisi cui l'intelletto sottopone l'intuizione, per tradurla in rappresentazione. Costituisce quindi un elemento che possiamo considerare più propriamente logico nel conoscere linguistico. . Purtroppo indagini di questo genere sono estremamente difficili per insuf- . ficienza di documentazione: dell'origine, ad esempio, degli elementi lessicali e morfologici che indicano rapporti (ad esempio, delle preposizioni e delle desinenze della flessione verbale e nominale delle lingue arioeuropee, come delle modalità originarie che nelle lingue semitiche attribuirono ai mutamenti vocalici nella radice una funzione sintattica) noi ben poco sappiamo. Se ci fosse possibile di aprire uno spiraglio anche in questo campo, cioè se sapessimo qualcosa di sicuro circa l'origine degli elementi formali che riducono a particolare determinazione l'universalità del segno lessicale, forse avremmo modo di cogliere in ciascuna lingua un orientamento della mente, comune tanto alla scelta del segno in sé come designazione della cosa o del processo, quanto alla determinazione del rapporto, risultato dall'analisi dell'intuizione. Solo in tal caso potremmo dire di avere veramente penetrato l'intima ragione, il genio di una lingua, scoprendo in essa la potenza e l'indirizzo di quella coscienza, individuale e molteplice, delle cui esperienze attive la lingua è appunto l'obiettivazione concreta.

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