Quaderni di Roma - anno II - n. 5-6 - set.-dic. 1948

STORICITÀ DELLE LINGUE 375 Da lingua a lingua esiste sempre una differenza sostanziale, irriducibile per quelle in cui non c'è traccia di parentela genetica , sia nel lessico sia nella morfologia, e tale differenza riflette necessariamente i d ue aspetti costitutivi dell'attività linguistica, il conoscere e il distinguere. Questi due momenti appaiono unificati nel segno, che dell'uno e dell'altro è il riflesso concreto. In funzione del distinguere si modella la forma del segno come di un recipiente , nella cui sagoma il vasaio abbia voluto indicare una univoca possibilità di contenu to. I modi del distinguere sono praticamente illimitati e possono estendersi dalla relativa stabilità della consonante alle infinite varietà di tono delle vocali : nelle li ngue semitiche il segno lessicale gravita per la maggior parte sulla radice consonan tica trilittera, mentre nel cinese, come in alcune lingue dell'Africa centrale o meridi onale, che sono monosillabiche o vicine al monosillabismo, la politonia, cioè la varie tà dell'accento tonico ha una funzione distintiva lessicale importantissima. Analoga mente, nell'espressione del rapporto sintattico le lingue seguono ciascuna una p ropria via, ora usando elementi morfologici che nell'atto linguistico vengono a f ar parte del segno lessicale, ora usando segni autonomi, ora abolendo addirittura i l morfema e sostituendo ad esso un altro espediente, ad esempio, l'ordine delle p arole nella frase. Per quanto riguarda il segno lessicale, è da osservare che nella lingua c'è il distinguere di un conoscere collettivamente acquisito, che si costituis ce in sistema. Il distinguere è in funzione del conoscere, ma è al tempo stesso in fu nzione del sistema, alla cui legge di struttura aderisce. Anche il distinguere è acqu isizione collettiva, perfettamente parallela al conoscere come la forma al contenut o: i significati rappresentano il complesso dei valori conoscitivi, di cui il singolo, in quanto appartiene ad una co- munità di parlanti, dispone, nella misura che sa, pe r rappresentarsi un qualsiasi contenuto di coscienza; i segni fonici sono l'elemento distmtivo che fissa ed offre intuitivamente tali valori. La forma esterna del segno risulta in atto arbitrar ia e legata solo alla neces- sità del sistema; ciò avviene, perché il momento d ell'assunzione del segno ad esprimere quel dato valore non è più presente nella ling ua, e, perciò, non lo è nemmeno nell'atto linguistico, che questa assume nella sua mera funzionalità attuale. Avviene qualcosa di simile, quando usiamo un oggetto qual siasi, un recipiente solo nella sua determinata capacità di contenere un certo liquido , e non c'importa conoscere né la fabbrica in cui è stato apprestato, né la materia di cui è fatto. Ed in vece la mano dell'operaio e il materiale di cui egli si è servito sono per l'appunto ciò che al recipiente conferisce la sua fisionomia, oltre che le sue possibilità funzionali. In altri termini, usiamo la parola Irma per indicare il pianeta e non avvertiamo in essa il minimo richiamo a quella nozione dello ' splend ere ' (l,,ceo, cioè loucma, liina) che venne assunta a tratto qualificante di esso e su c ui si modellò il nome; chiamiamo un libro volume, senza minimamente riferirci alla forma di rotolo ch e diede origine alla designazione latina voliime11; né usando il verbo scrivere, teniamo presente altro se non la modalità e natura dell'atto che esso rich iama, senza alcun riferimento all'incidere o scalfire che fu all'origine del lat. sctibere, come del greco ypoc<peLv; così come non è più presente il valore originario di ' colorare, dipingere' dei verbi dello stesso significato, gotico mel;an, russo pisat, persiano nibi,tan. E, tuttavia, sono questi momenti qualificanti delle cose e dell'ag ire, ormai staccati e lontani dalla fase presente, i quali hanno costituito la forma d istintiva della lingua com'è ora, veste di un conoscere attuale. · Lo stesso vale per gli elementi usati per indica re i rapporti che articolano la rappresentazione, quale si dispiega nella frase, c ioè, i morfemi. Nel persiano mo- derno il caso obliquo, dopo la perdita degli elementi flessionali avvenuta in fase medievale, torna ad essere espresso mediante la desinenza -ra. Di questa al parlante è presente solo la funzione grammaticale e il fatto ch e essa continua l'antico persiano

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