Quaderni di Roma - anno II - n. 5-6 - set.-dic. 1948

GIORGIO CASTELLINO C'è poi un trasformismo finalistico per il quale l'evoluzione segnata dalla scala degli esseri, non è una evoluzione cieca, derivata da una necessità intrinseca, posta negli esseri non si sa come e da chi. Questo sviluppo graduale, a uno sguardo complessivo, rivela un disegno chiaro, finito, regolare, come la realizzazione a tappe di un piano studiato in tutti i suoi particolari e delineantesi automaticamente come una gran macchina complessa, che, ricevuta la materia prima e messa in movimento, la lavora, facendola passare per tutti gli stadi, fino al compimento definitivo. Ora ammessa nella natura la presenza di un tale disegno, è difficile sfuggire alla necessità di riconoscere una mente superiore che un tale piano ha concepito e ne ha voluto la realizzazione. In questo sistema l'inizio degli esseri non è lasciato all'oscuro, come devono necessariamente fare i seguaci del sistema precedente, ma è dilucidato ammettendo ciò che la scienza può giungere a richiedere come postulato, cioè un Dio, che, con un atto creativo, lancia il mondo negli spazi infiniti e lo avvia pei sentieri che gli ha fissato. Se però noi domandiamo all'uno o all'altro sistema la spiegazione del come questa evoluzione si sia prodotta e realizzata, troviamo gli scienziati in un perfetto disaccordo. Quali siano le leggi interne ed esterne che hanno regolato e regolano, tuttora le trasformazioni e i passaggi intermedi non è stato ancora determinato con certezza e i sistemi escogitati (selezione, azione dell'ambiente, mutazioni, registrazione e trasmissione di esse per mezzo dei cromosomi), nella loro varietà, discordia e, anche, contraddizione, ci dicono appunto l'ignoranza degli studiosi a questo riguardo. L'incertezza nello spiegare il come dell'evoluzionismo non ci deve tuttavia chiudere gli occhi da non vedere che il materiale raccolto dalla scienza, e che è andato accumulandosi in tanti decenni, non sia imponente, e anche là dove è di pura natura cronologica non possa portare altresì a una, per lo meno probabile, connessione genetica. D'altra parte, anche dal punto di vista filosofico, non si può dire che l'evoluzionismo non abbia per sé delle buone ragioni per farlo apprezzare. Esso porta nella concezione dell'universo, per esempio, la nota della semplicità, presentando una linea di sviluppo costante, facilmente ~egui• bile. Inoltre la nota dell'armonia delle parti, che vengono fuse in un tutto e ricondotte a un piano unico in cui il tutto spiega le parti e le parti spiegano il tutto. Gt'andiosità, perché evita la frammentarietà, ma unifica il complesso e ne mette in evidenza le articolazioni varie che ne rivelano le dimensioni imponentissime. Né minore è l'intelligenza che fa rifulgere attraverso le note elencate di semplicità, armonia, grandiosità. Se ora ci facciamo al problema particolare dell'origine dell'uomo, comprenderemo facilmente come esso non possa rappresentare un'eccezione, che significherebbe una rottura, un arresto in questo disegno unitario e quindi la rovina di tutto l'edificio. L'uomo è dunque da considerarsi. nel-

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