DOCUMENTI DI UMANITÀ 349 Jezza? :E vergogna la bellezza che l'oltraggio ha fatto marcire. Non tiranneggiare, o uomo, la bellezza, né recare oltraggio at giovane ch'è nel suo fiore: conservala pura perché sia bella. Sii re della bellezza, non tiranno. Rimanga libera; allora riconoscerò la tua bellezza, quando tu avrai conservata pura la sua immagine; allora adorerò la bellezza, quando essa sarà il vero archetipo delle cose belle» (Protrept., 4, p. 43, trad. Cataudella, con qualche ritocco; cfr. Paed., III, 4, in princ., p. 268). Già Atenagora aveva deplorato in simili turpitudini l'oltraggio recato alla bellezza, « creatura di Dio (ché non da sé si è fatta la bellezza sulla terra, ma vi fu mandata dalla mano e dalla mente di Dio») (Suppi., 34, 2). Nel campo propriamente morale, uno dei valori che il primitivo cristianesimo rivend1ca con maggior vigore è la libertà. Qui bisognerebbe riascoltare le serene e fiere risposte dei testimoni della fede a chi pretendeva di conculcare i sacri diritti della loro coscienza. Quando il proconsole ordina che le cristiane incarcerate a Cartagine siano vestite con gli abiti delle sacerdotesse di Saturno, Felicita, una schiava battezzata in prigione e da pochi giorni divenuta madre, così ardisce protestare: « Perciò siamo venute spontaneamente a questo punto, per non sacrificare la nostra libertà» (Mart. Perp., 18, 3, p. 42, K. K.). Mezzo secolo più tardi, nella medesima Cartagine, un altro testimone di Cristo, il già ricordato _Montano, proclamerà essere molto meglio, per salvare la libertà, lasciarsi uccidere che adorare le pietre. ( Mart. Mont. et Luc., 19, 5, p. 80, K. K.). Ottavio ammira il cristiano nello spettacolo ch'egli offre a Dio quando « s'azzuffa col dolore, quando sta sereno di fronte a minacce e tormenti,. quando irride e conculca lo strepito di morte e l'orrore che incute il carnefice, quando afferma vigorosamente la sua libertà contro re e principi, quando a Dio solo, a cui appartiene, si sottomette». (Oct., 37, 1). Anche il rifiuto d'una osservanza apparentemente di nessun conto, qual è l'usare dei resti dei sacrifici e delle libazioni, è giustificato come « affermazione di vera libertà». (38, 1). Verità e libertà: ecco le mète che San Cipriano addita alle generose fatiche dell'ascesi cristia!?';\; « Bisogna sopportare e perseverare, fratelli dilettissimi, affinché, ammessi alla speranza della verità e della libertà, possiamo giungere alla verità stessa e alla stessa libertà». (De bono pat., 13). Tale libertà è inalienabile possesso di tutti, anche dello schiavo di Cesare, Evelpisto, compagno di Giustino nel martirio, portato a Roma dalla Cappadocia, che si proclama liberato da Cristo. (Acttt lustin., 4, 3, p. 16, K. K.). Con questa rivendicazione della libertà di fronte a ogni tentato asservimento della coscienza, il cristiano prende posizione anche sul piano della vita sociale.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==