MICHELE PELLEGRINO saggi dei ricchi, non oscurarono la loro intelligenza coi cibi né la perver• tirono coi piaceri» (Paed., II, 1, p. 166 Potter), non conosce alcuna esagerazione di smoderato ascetismo, ma solo deplora che sia stato profanato il bel nome di « agape», così proprio dei fraterni conviti cristiani. Anche delle piccole cose che dànno freschezza e poesia alla vita il cristiano fruisce in semplicità e letizia di cuore. « Voi non intrecciate fiori sul capo.... negate anche ;i.imorti le corone », aveva rinfacciato Cecilio (Oct., 12, 6). « Ma chi può dubitare», risponde Ottavio con serena vivacità, « che noi amiamo i fiori di primavera? Noi cogliamo la rosa primaverile e il giglio e quanto v'è tra i fiori di vago colore e profumo ». E continua, con uno spunto d'umorismo che troviamo anche presso altri: « Se poi non c'incoroniamo il capo, vogliate perdonarci: è nostro costume aspirare il buon profumo con le narici, non con l'occipite e coi capelli» (38, 2). Così Clemente di Alessandria, dopo aver biasimato il significato religioso che i pagani attribuivano all'usanza di coronarsi di rose, soggiunge: « E bello nella stagione della primavera trattenersi nei prati rugiadosi e molli a godere, come le api, una fragranza semplice e naturale» (Paed., II,' 8, p. 211 Pott.). Persino l'uso degli unguenti profumati è permesso da Clemente alle donne, in misura moderata, « così da non recar fastidio al marito » (ibid., pag. 208). Del resto, chi voglia rendersi conto dell'atteggiamento assunto in tal proposito da un maestro fra i più ascoltati sulla fine del secondo e il principio del terzo secolo, non ha che da leggere il secondo e il terzo libro del Pedagogo ora citato, ove Clemente, in una specie di anticipato Giorno pariniano, presenta le lezioni che il divino Educatore impartisce sull'uso delle cose della vita quotidiana, dai cibi e dalle bevande alle suppellettili, ai divertimenti, alle corone e agli unguenti, al sonno, alla vita coniugale, alle calzature, agli ornamenti, ai bagni, agli esercizi ginnastici: nulla è indegno dell'attenzione del cristiano perché tutto rientra in un piano di ordine e di armonia tracciato dalla sapienza divina. In quest'opera il dottore del Didaskaleion, fedele discepolo della miglior tradizione greca, non dimentica la bellezza, fiore che « cade al suolo più veloce d'un petalo, quando vi soffiano contro le erotiche bufere delia petulanza, e prima che l'autunno arrivi è già guasto e marcio» (III, 1, p. 251). Se biasima gli ornamenti posticci è perché vi ravvisa un'offesa al Creatore, « quasi non abbia dato loro una degna bellezza» (c. 2, p. 254), mentre ciò che con la sua bellezza rallegra la vista è un invito a glorificare l'autore d'ogni cosa bella (II, 8, p. 211). E non è l'appassionato amore della bellezza che gl' ispira la, fiera invettiva contro chi turpemente la profana? «Perché», domanda al pagano rinfacciandogli il culto di Antinoo, « perché vai magnificando la sua bel-
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