Quaderni di Roma - anno II - n. 5-6 - set.-dic. 1948

DOCUMENTI DI UMANITÀ 347 Al contrario, il cristiano rivendica l'essenziale bontà di tutte le creature e da tutte trae motivo di gioia. Nelle sinassi eucaristiche, quali ce le presenta la Didaché, i fratelli rendono grazie, con accenti di lirica esultanza, al Signore onnipotente che tutte le cose creò per il suo nome, che cibo e bevanda diede agli uomini perché ne godessero. Ecco la fiera risposta di Origene a Celso, che, riputando commessa ai demoni la cura delle cose di quaggiù, vorrebbe vietarne l'uso ai cristiani: « Non dai demoni riceviamo quanto serve agli usi della vita, noi soprattutto che abbiamo appreso a servircene nella dovuta maniera. Né chi fruisce di cibo, di vino, di frutti, d'acqua e d'aria, banchetta coi demoni, ma piuttosto coi divini angeli che a queste cose sono preposti, i quali sono in ·certo modo convitati alla mensa dell'uomo pio, che ha ascoltato la parola che suona così: ' O che mangiate dunque o che beviate o che altro facciate, tutto fatelo a gloria di Dio · (I Cor., 10, 31). E di nuovo in altro luogo si legge: 'Tutto fate in nome di Dio· (Col., 3, 17). Quando pertanto a gloria di Dio mangiamo e beviamo e respiriamo e tutto facciamo secondo ragione non banchettiamo con i· demoni, ma bensì coi divini angeli. ' Giacché ogni creatura di Dio è buona, e nessuna è da rigettare, quando con rendimento di grazie si prenda; perché viene santificata con la parola di Dio e con la preghiera· ([I Tim., 4, 4] C. Cels., VIII, 32). La medesima concezione serena e integrale della vita affiorava, libera da richiami.letterari e da sviluppi dialettici, nelle brevi parole di Aristide: « Ogni mattina e a tutte le ore, guardando ai benefici loro concessi da Dio, lo lodano e lo esaltano e lo ringraziano per il loro cibo e la loro bevanda » ( c. 15). Al termine della conversazione col neofito Donato, ove Cipriano canta l'esultanza di chi ha trovato la vera vita, egli invita l'amico a chiudere la giornata nella gioia d'un convito perfuso dalla grazia celeste, rallegrato dal canto dei salmi (Ad Don., 16). Lo stesso Tertulliano, pur nel suo atteggiamento di esasperante contrasto con ogni aspetto del paganesimo, così respinge, in un passo che è fra i più noti del suo Apologetico, l'accusa fatta ai cristiani di appartarsi dalla vita sociale: « Non siamo dei Bracmani o dei Ginnosofisti dell'India, abitatori delle selve ed esuli dalla vita. Rammentiamo il debito di gratitudine a Dio signore e creatore; nessun frutto delle sue opere rifiutiamo; certo, ci guardiamo dall'usarne oltre misura o malamente. Perciò abitiamo con voi questo mondo, senza far a meno del vostro foro, del vostro mercato, dei bagni, delle botteghe, <lei magazzini, delle locande, delle fiere. Navighiamo noi pure con voi, prestiamo servizio militare, coltiviamo la terra, commerciamo, mettiamo a vostra disposizione il frutto delle nostre arti e del nostro lavoro» (42, 1-3). _ E Clemente di Alessandria, lodando i filosofi che, « più robusti e più

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