344 MICHELE PELLEGRINO talora con diffidenza al cristianesimo, quasi che esso ne imponesse il sacri- · fido. Ciò poté avvenire presso certi uomini e certe correnti, ove più che il genuino spirito cristiano operò ed opera una concezione inconsapevolmente inficiata di dualismo gnostico-manicheo; ma il cristianesimo quale appare nei documenti di cui noi ci occupiamo, nei rivoli, cioè, più prossimi alla fonte, è aperto senza sottintesi e senza vani timori a tutti i veri valori della vita: « Del resto, fratelli », così esorta Paolo i Filippesi in una lettera palpitante del più schietto affiato di umanità, « a quanto è verace, a quanto è nobile, a quanto è giusto, a quanto è amabile, a quanto è di buon nome, ,,, se una virtù c'è e se una lode, a questo siate intesi » (4, 8). Il cristiano canta la gioia. Veramente uno squillo di gioia è l'esordio della lettera in cui il personaggio che si nasconde sotto il nome di Barnaba s'allieta altremodo per i beati e preziosi doni spirituali di cui son colmi i suoi destinatari ( 1, 2), proclama come uno dei tre precetti del Signore « l'amore nell'allegrezza e nell'esultanza» (1, 6), si propone di offrire ai lettori motivi di gioia (1, 8, cfr. 21, 9). « Figli d'allegrezza» chiama i cristiani (7, 1), così come li chiama « figli d'amore» (9, 7) e « di pace» (21, 9). L'augurio di gioia, il xcdpeLv, con cui Ignazio saluta i fratelli all'inizio delle sue lettere, non è vuota espressione convenzionale, come mostrano 'le determinazioni che spesso l'accompagnano: « in gioia pura » (Eph., Rom.), « in Dio Padre e in Gesù Cristo» (Magn.). D'intimo gaudio vibra il cuore del vescovo che naviga, in catene, verso Roma, ove l'attendono le belve del Circo: gaudio che i fratelli son felici di dividere con lui (Trall., 1, 1), come esultano le comunità stabilite nella pace di Dio (Philad., pro!., 5, 1). Dalla Siria a Cartagine, il medesimo fremito di gioia fa palpitare i fedeli di Cristo che aspettano la prova suprema. Perpetua e i suoi compagni, udita la condanna ad be.rtias, scendono « ilari » al carcere ( Mart. Perp., 6, p. 38 K. K.); giunto il momento di passare dal carcere all'anfiteatro, essi incedono « ilari e belli in volto, trepidanti, se mai, di gioia, non di timore» (Ibid., 18, 1, p. 42). Cipriano, all'improvviso irrompere della polizia, « si fece innanzi a fronte alta, con cuore impavido, mostrando serenità nel volto e coraggio · nell'animo»; e il giorno dell'ultimo cimento sorse « lieto per il martire consapevole del martirio imminente, irradiato da un fulgido sole» (Pont., Vita Cypr., 15, 2; 16, 1). Nel carcere di Cartagine, Montano, Lucio e compagni salutano gioiosi Io spuntare del giorno (Mart., 4, 7; p. 75, K. K.) e dal loro volto ilare s'irradia un'interiore felicità; s'avviano al luogo del supplizio cum gaudio et sine pavore (13, 2, 6, p. 78; 21, 1, p. 81). Memori di queste ore solenni, i fratelli si raccoglieranno a commemorare il giorno natalizio dei martiri « in allegrezza e gioia» ( Mart. Polyc.,
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