Quaderni di Roma - anno II - n. 5-6 - set.-dic. 1948

NOTE DI CRONACA 451 dar l'impressione che la penisola appenninica e la regione padana non interessassero gli occidentali e che pertanto essi si ritiravano da una contrada dell'Europa incapace di difendersi per abbandonarla al proprio destino e alla strategia di generali in cerca di facili diversioni. Il nostro Paese, in altre parole, sarebbe diventato una zona neutra o meglio, uno spazio vuoto. L'adesione al Patto Atlantico non è una garanzia assoluta di sicurezza per l'Italia; ma rende meno probabile una eventuale aggressione. Il clamore che vanno inscenando i comunisti di casa nostra contro la ratifica dell'alleanza con « petizioni » e firme contro il « patto di guerra» fiancheggia l'azione diplomatica russa e, sul piano interno, tende a contrapporre al Paese legale, manifestato dalle elezioni del 18 aprile 1948, un ipotetico Paese reale che dovrebbe prevalere anche sulla volontà di un Parlamento liberamente eletto. La manovra è dunque duplice: e fa leva soprattutto sull'amore di pace di tutti gli italiani e sull'ingenuità di molti i quali dimenticano che i nuovi apostoli della « vera pace » sono quelli stessi che nell'agosto 1939 inneggiarono al patto germano-sovietico causa immediata determinante del secondo conAitto mondiale. Ma l'adesione al patto Atlantico non evita all'Italia di pagare il conto della guerra perduta. Le decisioni sulle Colonie italiane sono quelle che sono; rappresentano però la conseguenza necessaria della firma apposta al trattato di pace. Ora si potrà discutere se conveniva o no firmare gli articoli di Parigi. Ma non conoscendo, per difetto di esperienza, quali sarebbero state le conseguenze del rifiuto, non possiamo dire se l'aver firmato sia un male minore. Comunque sia, la decisione sulle Colonie rappresenta un colpo grave per il popolo italiano. Quel che si comprende meno è l'ottimismo che fu coltivato in questo campo da frequenti dichiarazioni, le quali ragionevolmente dovevano apparire autorizzate. Oggi il risultato che esse han sortito è quello di aver resa più amara la delusione. Sul campo interno c'è da prendere atto della migliorata situazione finanziaria, della volontà, autorevolmente confermata, di procedere a riforme di notevole ampiezza economica e sociale. La tensione interna, a torto o a ragione, appare diminuita. E le elezioni sarde lo dimostrano : la scemata forza della democrazia cri-. stiana in Sardegna non ha altra spiegazione. Un apno fà appariva evidente a tutti che era necessario far blocco per impedire il trionfo di una concezione la quale avrebbe spazzato via tutte le libertà. Oggi, - ripetiamo: a torto o a ragione - il pericolo sembra diminuito. e nel giuoco politico si manifestano istanze di natura secondaria colorite di sentimentalismo. Auguriamoci che queste divagazioni non vengano pagate a caro prezzo. Dal mondo orientale le notizie che filtrano attraverso il sipario di ferro sono sempre gravi. La Jugoslavia è ancora in una posizione di attesa e respinge come calunniose tutte le voci di avances verso il mondo occidentale. Nel campo internazionale il governo di Belgrado non si distingue molto dalle direttive sovietiche, spesso, anzi, le fa proprie; ma la polemica col Cominform e con i vicini stati più o meno comunisti continua. La Repubblica federativa potrebbe apparire isolata nella sua « eresia »; ma altri « eretici » sono scoperti denunziati e puniti in taluni Paesi del sistema orientale: in Albania, in Polonia, e soprattutto in Bulgaria: questo significa che in seno al comunismo si delineano correnti, per dir cosl protestantiche, soffocate per lo più, ma abbastanza rivelatrici. Tito non è, almeno moralmente, un isolato. Sotto l'aspetto spirituale e intellettuale la « gleichshaltung » comunista continua spietata. Episodi più clamorosi sono il processo e la condanna del Cardinale

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