Quaderni di Roma - anno II - n. 5-6 - set.-dic. 1948

440 RASSEGNE ed aspra che ci voleva, ha fatto diventare il Concilio la bandiera della Controriforma, e l'attacco del Sarpi non ha abbattuto questo vessillo, ma invece lo ha fatto risaltare maggiormente. L. Salvatorelli, « Paolo Sarpi » (pp. 137-144) considera l'Istoria del Sarpi come una continuazione della lotta politica tra Venezia e Roma con nuovi mezzi, trova però, come pare a me, giustamente che l'interpretazione unicamente politica del Taucci nella sua controversia col Savio non è esauriente. Il Salvatorelli vede nel Sarpi un rappresentante di quel concetto spirituale della chiesa che ha motivato l'opposizione contro il papato a cominciare da Arnaldo da Brescia lino al Risorgimento. Credo di avere provato nel mio ultimo lavoro (Das Konzil von Trient. Ein Oberblick iiber die Erforschung seiner Geschichte, 1948, p. 61 segg.) che il Sarpi era strettamente unito al Gallicanismo e che ha considerato il Thou, il Dupuy ed il Richer identici a lui per principi e come compagni di lotta. Ma questo non ha fatto diventare gallicano anche lui, ed il suo concetto della d1iesa si dovrebbe fare risaltare ancora più di quanto non lo abbia fatto il Salvatorelli. Sin dal 1884, quando il Dejob ha pubblicato il suo libro, si attribuiscono al Concilio di Trento vari effetti sulla letteratura e sull'arte dell'Europa, i quali, osservati esattamente, non sono effetti del Concilio, ma invece della Riforma cattolica e della Controriforma, dei due movimenti spirituali a cui appartiene il Concilio anche lui come causa e come effetto. I tre voluminosi contributi del Getto, del Firpo e dello Spini forniscono nuove e numerose prove. G. Getto, col suo studio « La letteratura ascetica e mistica in Italia nella età del Concilio Tiidentino » (pp. 51-77) ci porta in un campo immensamente vasto che la storia della letteratura ha osservato poco. Sorprende l'individualità dei profili letterari : il « buon senso » di Filippo Neri, di Caterina de' Ricci come « massaia claustrale», l'estatica Maddalena de' Pazzi. Allo Scupoli, che oggi ancora è letto molto, è assegnato il suo posto in rapporto col suo tempo; ed è fatto rilevare il carattere incline alla controversia dell'ascetico Lorenzo Davidico, il quale nonostante le sue 70 pubblicazioni è quasi dimenticato; è dimostrato nel « Fuoco d'amore» del cappuccino laico da Bergamo l'alito di vera religiosità. Ma il miglior risultato delfe ricerche è contenuto nella frase (p. 76): « Per quel che riguarda l'influsso del concilio di Trento su questi autori, ci sembra di dover giungere a conclusioni negative». La stessa conclusione si rileva negli scritti del Firpo e dello Spini, senza che gli autori la facciano espressamente. L. Firpo nel suo scritto « L'utopia politica nella controriforma » (pp. 78-108) si riallaccia naturalmente alle utopie del Rinascimento, esempio celebre delle quali è l'Utopia di Tommaso Moro. Sono veramente tipici per la controriforma i Dialoghi dell'infinito di Agostino Patrizi da Pesaro, scritti probabilmente dopo il 1585, nei quali è descritta una « Repubblica imaginaria » con due gerarchie, vale a dire con una secolare e con una ecclesiastica. La Città del sole del Campanella, scritta nel 1602 e pubblicata nel 1623, è un ritorno alle utopie audaci del Rinascimento; il Firpo tenta di farla rientrare nello sviluppo generale del pensiero del filosofo e (contrariamente ali' Amabile) nella « Theologia » non vede ipocrisia, ma invece un elevarsi sopra il naturalismo contenuto nella Città del sole. La terza delle utopie trattate, la « Repubblica di Evandria » di Ludovico Zuccoli (1625), è, secondo il Firpo, priva di ogni profondità filosofica. Nel lavoro interessantissimo di G. Spini « trattatisti dell'arte storica nella Controriforma italiana » (pp. 109-136) sorprende anzitutto il fatto che l'animazione e l'approfondimento del senso storico, prodotti dall'umanesimo, a cominciare dal Valla lino ad Erasmo, e in un certo modo anche le esposizioni della Riforma su

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==