Quaderni di Roma - anno II - n. 5-6 - set.-dic. 1948

QVADERNI DI ROMA RIVISTA BIMESTRALE DI CVLTVRA DIRETTA DA GAETANO DE SANCTIS ~S/8/TCOMPhCTI\~ ANNO Il - SETTEMBRE-DICEMBRE 1948 · FASCTCOLO 5-6 SANSONI - EDITORE ' I

Comitato di Redazione G. DE SANCTIS, presidente - R. ARNOU - G. COLONNEITI G. l;RMINI - A. FANFANI - P. P. TROMPEO S1gretario di Redazione P. BREZZI Direzione s Redazione CASA EDITRICE SANSONI - VIA GAE'I'.A, 12 - ROM.A INDICE G. CASTELLINO:Origine dell'uomo e storia dell'umanità secondo la Bibbia e la scienza . . . Pag. 325 M. PELLEGRINO: Documenti di umanità nell~ prima letteratura cristiana . . 339 P. BREZZI: La coscienza della storia nel cristianesimo antico . 355 A. PAGLIARO: Storicità delle lingue . . 367 - P. ROMANELLI:Luoghi e monumenti della leggenda romulea . 381 G. MACCHIA: Chateaubriand . 396 R. A. SQUADRILLI:Jean Paul Sartre . 404 G. ARMELLINI: Lorenzo Respighi nel sessantenario della morte . 414 C. CoRSANEGO: La democrazia nel pensiero cristiano . . . 426 lvtssegne: H. JEDIN: Nuovi contributi per la storia del concilio di Trento e della Controriforma 437 Note di cronaca: Cronache religiose (***) Cronache politiche (**) . 442 446

ORIGINE DELL'UOMO E STORIA DELL' UMANITA SECONDO LA BIBBIA E LA SCIENZA Nelle pagine seguenti ci proponiamo di prendere in considerazione alcune questioni più discusse ai giorni nostri e che toccano la Bibbia e la scienza. Senza entrare in particolari tecnici, procureremo di prospettare la situazione presente e le linee entro cui un cattolico si può tenere con sicurezza. 1. L'ORIGINE DELL'UOMO. Per conoscere l'origine dell'uomo noi possiamo rivolgerci alla scienza oppure alla fede. La scienza ha un !suo modo di procedere: investiga la natura e ne ricava delle leggi che applica con una portata generalissima, e si sa che le leggi della natura non subiscono eccezioni ( 1). Dal tempo di Darwin la scienza ha formulato l'ipotesi dell'evoluzionismo che, corretta e modificata nei vari sistemi e applicata presto a tutti, o quasi, i campi dello scibile, pretende di spiegare l'origine del creato. Gli esseri sarebbero comparsi nel mondo in un ordine fisso, seguendo uno sviluppo regolare, dal meno perfetto al più perfetto, in una scala ascensionale, fino al momento in cui la struttura animale, ormai matura, fu resa capace di produrre il fiore più bello di tutti gli esseri: l'Uomo! Nel sistema evoluzionista o trasformista, l'uomo non si distingue da tutti gli altri animali inferiori da cui deriva se non per un maggiore sviluppo dei centri cerebrali e una maggiore graziosità di forme. Più cervello vuol dire più intelligenza, cioè pensiero, progresso, civiltà, filosofia, arte. Si possono distinguere due specie di trasformismo: un trasformismo materialista, che non riconosce nel mondo alcun principio superiore spirituale, ma fa evolvere il mondo per pura necessità intrinseca, ciecamente, in una risultante ascensionale non voluta da nessuno, non portata da nulla se non da una specie di fatalità, che non si sa che cosa sia·e donde venga (2). Una posizione, codesta, non facilmente giustificabile in linea filosofica di ragionamento e che può accontentare chi s'accontenta e non cerca più sù. ( J) Facciamo astrazione dalla « legge scientifica», come è intesa nelle scienze fisiche, dove ha soltanto più il significato di « approssimazione più o meno costante». (2) Il gioco del caso nell'evoluzione, per il noto biologo inglese J. B. S, Haldane, .per esempio, dominerebbe non solo nella fortuita combinazione dei geni cromosomici, ma anche in tutto il meccanismo dell'evoluzione stessa. Il suo è perciò un evoluzionismo mate• rialista assoluto afinalistico. 22. - Quaderni di Ro-ma.

GIORGIO CASTELLINO C'è poi un trasformismo finalistico per il quale l'evoluzione segnata dalla scala degli esseri, non è una evoluzione cieca, derivata da una necessità intrinseca, posta negli esseri non si sa come e da chi. Questo sviluppo graduale, a uno sguardo complessivo, rivela un disegno chiaro, finito, regolare, come la realizzazione a tappe di un piano studiato in tutti i suoi particolari e delineantesi automaticamente come una gran macchina complessa, che, ricevuta la materia prima e messa in movimento, la lavora, facendola passare per tutti gli stadi, fino al compimento definitivo. Ora ammessa nella natura la presenza di un tale disegno, è difficile sfuggire alla necessità di riconoscere una mente superiore che un tale piano ha concepito e ne ha voluto la realizzazione. In questo sistema l'inizio degli esseri non è lasciato all'oscuro, come devono necessariamente fare i seguaci del sistema precedente, ma è dilucidato ammettendo ciò che la scienza può giungere a richiedere come postulato, cioè un Dio, che, con un atto creativo, lancia il mondo negli spazi infiniti e lo avvia pei sentieri che gli ha fissato. Se però noi domandiamo all'uno o all'altro sistema la spiegazione del come questa evoluzione si sia prodotta e realizzata, troviamo gli scienziati in un perfetto disaccordo. Quali siano le leggi interne ed esterne che hanno regolato e regolano, tuttora le trasformazioni e i passaggi intermedi non è stato ancora determinato con certezza e i sistemi escogitati (selezione, azione dell'ambiente, mutazioni, registrazione e trasmissione di esse per mezzo dei cromosomi), nella loro varietà, discordia e, anche, contraddizione, ci dicono appunto l'ignoranza degli studiosi a questo riguardo. L'incertezza nello spiegare il come dell'evoluzionismo non ci deve tuttavia chiudere gli occhi da non vedere che il materiale raccolto dalla scienza, e che è andato accumulandosi in tanti decenni, non sia imponente, e anche là dove è di pura natura cronologica non possa portare altresì a una, per lo meno probabile, connessione genetica. D'altra parte, anche dal punto di vista filosofico, non si può dire che l'evoluzionismo non abbia per sé delle buone ragioni per farlo apprezzare. Esso porta nella concezione dell'universo, per esempio, la nota della semplicità, presentando una linea di sviluppo costante, facilmente ~egui• bile. Inoltre la nota dell'armonia delle parti, che vengono fuse in un tutto e ricondotte a un piano unico in cui il tutto spiega le parti e le parti spiegano il tutto. Gt'andiosità, perché evita la frammentarietà, ma unifica il complesso e ne mette in evidenza le articolazioni varie che ne rivelano le dimensioni imponentissime. Né minore è l'intelligenza che fa rifulgere attraverso le note elencate di semplicità, armonia, grandiosità. Se ora ci facciamo al problema particolare dell'origine dell'uomo, comprenderemo facilmente come esso non possa rappresentare un'eccezione, che significherebbe una rottura, un arresto in questo disegno unitario e quindi la rovina di tutto l'edificio. L'uomo è dunque da considerarsi. nel-

ORIGINE DELL'UOMO E STORIA DELL'UMANJT.J.. 327 l'evoluzionismo, come un anello della catena inintel'fotta di questa scala ascensionale, soggetto pertanto a tutte le medesime leggi di tutti gli esseri che l'hanno preceduto. Perciò, sia nella concezione puramente materialista, che lo richiede necessariamente, come in quella finalistica, che non l'esclude di per sé a priot·i, si può sostenere e si sostiene che l'uomo deriva tutto quanto dagli animali inferiori, comparsi prima di lui. Ciò è richiesto dalla filosofia del sistema, e se difficoltà si possono muovere a questa concezione, esse potranno solo venire dal di fuori: dalla scienza, che si trova incapace di spiegare non solo tutte le fasi del come della derivazione, ma è incapace pure di fissare per lo meno il punto di distacco dagli animali, e quali animali, inferiori da cui l'uomo avrebbe avuto origine (1). Oppure da qualche sistema filosofico che si conserva diffidente di fronte alle difficoltà intrinseche del trasformismo, ovvero ancora, dalla fede. Le ragioni di convenienza per adeguare l'uomo agli altri animali nella sua origine non mancano, e si innestano a quelle generali del sistema, accennate più sù. Ma è a dir subito che se ne potrebbero trovare (e sono state trovate) altre di non minor valore, per il contrario. D'altronde le ragioni di convenienza hanno un valore limitato, buone a suffragare dei fatti dimostrati, o conosciuti attraverso le fonti della rivelazione, ma non atte a creare da sole delle dimostrazioni apodittiche. Ancora, a proposito dell'uomo, è da accennare al problema sempre più dibattuto ai nostri giorni, del monogenismo e del poligenismo. Il primo è tuttora tesi comune fra gli scienziati, mentre il secondo è propugnato da un piccolo gruppo di studiosi e costituisce uno dei punti base del1' ologenismo. Anche la fede ci dice qualcosa a riguardo dell'origine dell'uomo. Proprio la prima pagina del libro che contiene le comunicazioni di Dio all'umanità, ci narra l'origine del mondo e dell'uomo. In un contrasto netto, a prima vista, con la scienza espone la produzione del mondo e dei singoli esseri per opera di comandi creativi di Dio, il tutto racchiuso nel quadro di una ordinaria settimana. Anche l'uomo ha la stessa origine, ma il suo apparire nel mondo è segnato da un atto riflesso di Dio, conscio di compiere qualcosa di diverso e di più importante, che non gli esseri lanciati nell'esistenza con un semplice fiat. Disponendosi alla creazione dell'uomo Dio pare infatti animarsi all'impresa con un invito solenne: na 'aseh · adam.... faciamus hominem (Genesi, l, 26). Nel capo 2 ripiglia il racconto circonstanziato: Dio plasma un essere dal fango della terra e gli ispira, con l'alito divino, anima e vita. Quando, nella sua verginale ( 1) te difficoltà mosse dalla scienza non sono né piccole, né poche, tanto che, se si esclude la Francia, che po.re essersi fatta paladina dell'evoluzionismo trasformista, con un fronte unico di scienziati, cattolici e non cattolici, tanto in Germania, quanto in Italia sono numerosi gli scienziati che non aderiscono all'evoluzionismo o vi adedscono con riserva.

GIORGIO CASTELLINO e fresca bellezza, l'uomo balza in piedi e gira attorno l'occhio nella sorpresa dello spirito alla rivelazione della realtà circostante, esso è costituito re della creazione. Su tutto dominerà perché il suo valore l'innalza sopra tutto, vincendo gli altri esseri non nelle proporzioni o nelle pure capacità e qualità fisiche del suo corpo, bensì in virtù d'essere stato fatto, lui solo, a differenza di tutto il resto del creato, a « immagine somigliantissima » di Dio (Genesi, 1, 26). Anche la prima donna è oggetto di un intervento particolare di Dio. Così dalle pagine bibliche risulta che il primo uomo e la prima donna furono creati immediatamente da Dio e che tutta l'umanità da loro deriva. Che tutto questo sia solo poesia o leggenda? Parrebbe un peccato. Queste pagine per secoli non presentarono difficoltà all'interpretazione. Data la scienza bambina .e l'impossibilità di controllare scientificamente i dati biblici, esse vennero prese nel senso ovvio delle parole. Nell'antichità poche eccezioni a questa regola. La scuola di Alessandria aveva ereditato il sistema dell'interpretazione allegorica dall'ambiente giu<leopagano e sulle orme di Filone l'aveva applicato alla sacra Scrittura e anche a queste prime pagine. Più tardi Sant'Agostino aveva dato una sua spiegazione, fuori del senso letterale, di quei capi e aveva anche ammonito a non legarsi troppo al sistema cosmografico della Bibbia per non attirare su di essa il ridicolo da parte di coloro che seguissero altri sistemi. Ma per tutti i secoli del medioevo, fino all'età moderna, l'interpretazione tradizionale ordinaria aveva preso quei passi alla lettera, come lo dimostra il fatto di Galileo. Appena questi propose un'interpretazione della Bibbia che andava contro quella tradizionale, in materia puramente scientifica, suscitò uno scandalo grave. Ora la scienza non solo ha dimostrato l'insostenibilità della lettera per il primo capo del Genesi (1), cioè per quel che riguarda le origini del Cosmo, ma mette in dubbio pure quanto là ci si dice sull'origine dell'uomo (Genesi, I-II). Di qui il problema che insorge: Come sono da intendersi i dati della Bibbia? C'è un principio generale e teorico, chiaro e sicuro, formulato da Leone XIII nella Enciclica « Providentissimus Deus » che si riduce a questo: In materia scientifica, la Bibbia non fa testo e nelle questioni scientifiche che non hanno riflessi su questioni dogmatiche e di rivelazione, si può essere completamente liberi. Ora se l'origine dell'uomo fosse una questione puramente scientifica noi potremmo star tranquilli: qualunque cosa la scienza proponga come sicuro, il cattolico sarebbe pronto ad accettarlo, come ha accettato i sistemi cosmologici moderni dopo Galileo. Ma nei ( 1) Non sono da approvarsi i tentativi recenti, anche se fatti da scienziati di valore, di far concordare la Bibbia con i dati scientifici moderni. Quel mondo che essi credono di poter vedere descritto nelle pagine della Bibbia era assolutamente estraneo alla mentalità dell'autore umano che le redasse. Da giudicarsi in questo senso l'articolo dell'illustre astro• nomo G. ARMBLLINI in « Studit11n », 42, (1946), 1'2·156.

ORIGINE DELL'UOMO E STORIA DELL'UMANITÀ pudti che hanno o sembrano avere relazione più o meno stretta con il dogma, l'applicazione del principio diventa difficile e delicata. E questo ci porta proprio al centro del problema delle relazioni tra scienza e fede. Ammesso che ognuna nel proprio campo sia suprema, e accettato il principio che la vera scienza, dimostrata con certezza, essendo verità, non può trovarsi in contrasto con la fede, tutto starà nel vedere, nelle questioni discusse, in cui scienza e rivelazione s'affrontano, sei il punto in discussione, formi oggetto di fede, e si trovi perciò nell'ambito delle verità rivelate, ovvero sia puramente o parzialmente oggetto di scienza e venga a cadere nell'ambito di essa. E nel caso che questa seconda alternativa sia la vera, quale sarà il valore da dare alle parole della Bibbia in senso contrario? Quest'ultimo è un problema che toccherà all'esegeta e al teologo di risolvete. Ora si pensa che la teoria Hummelauer-Lagrange, dei generi letterari, ripensata, possa portare qualche aiuto. Ma per tornare al punto centrale, bisogna dire che la questione dell'origine dell'uomo non è di puro carattere scientifico. L'uomo, come essere spirituale, dall'anima immortale e con un destino soprannaturale, è oggetto della rivelazione divina. Perciò la Chiesa si è sentita in dovere di condannare la soluzione dell'evoluzionismo materialista, e tutto il sistema, come essenzialmente contrario al deposito della fede, in quanto non ammette Dio e la creazione; ma ha condannato pure la soluzione dell'evoluzionismo finalistico, se esso pretende di rendere l'uomo solidale, nella sua origine, con gli animali inferiori, non solo per il corpo, ma anche per l'anima. Invece, pur essendosi mostrata diffidente al principio e pur avendo obbligato i primi cattolici che proposero la teoria (Leroy, Zahm) a ritirare i loro libri dal commercio, non ha condannato formalmente la soluzione dei trasformisti ed evoluzionisti cattolici i quali credono di poter conciliare i resultati della scienza con i dettami della fede accettando, con l'evoluzionismo, la derivazione del corpo dell'uomo dagli animali inferiori, e sostenendo, con la fede, la creazione immediata dell'anima da Dio. Di dove potrà venire la soluzione definitiva? La scienza potrebbe, un giorno non lontano, portare tali prove della derivazione del corpo umano dagli animali inferiori, da poter considerare la cosa come definita (Diciamo del corpo, perché la scienza non ha mezzi affatto per controllare l'origine dell'anima spirituale, e perciò non potrà mai asserire nulla come dimostrato a questo riguardo). Per alcuni la scienza sarebbe già giunta a tale dimostrazione (1), ma le loro asserzioni saranno da intendersi nel senso che gli scienziati sono riusciti a mettere insieme delle sequenze più o meno complete nella scala degli ( 1) Questa convinzione 13 si incontra sopratutto in Francia. V. per esempio, il geologo Mons. Delépine in una conferenza tenuta all'università cattolica di Lione: Géologie el ,p,oblème bio/ogiq11e, in «Bulletin des Fac. Cath. de Lyon », luglio-dicembre 1946, specie pagg. 15-16; e Mons. de Solag<s, rettore dell'lstiluto Cattolico di Tolosa, in « Bulletin de Lit. Etti. », Xl VJII ( 194') pogg. CIII-CXV.

33° GIORGIO CASTELLINO esseri da poter dire di avere in mano tutti, o quasi, gli anelli della catena. Ma una successione più o meno continua non dice senz'altro derivazi~ne genetica (1). Né si può dire che sia tale il parere della maggioranza degli studiosi oggettivi e cauti. Si può dunque attendere con pazienza che la scienza faccia il suo cammino e giunga, se potrà, a delle conclusioni sicure. La soluzione potrebbe pure venire dalla fede nel senso che la Chiesa, cui spetta il compito dell'interpretazione autentica della Scrittura Sacra, dichiari un giorno che questa o quella interpretazione è contraria al senso delle Scritture medesime. Ciò verrebbe a significare che affermazioni in contrario della scienza, anche se date, da alcuni, per certe, non sono tali. La Chiesa non avrà fatto della scienza, ma avrà solo negato a questa il diritto di pronunciarsi in un caso singolo, sottratto al suo dominio diretto ed esclusivo, con delle leggi generali. L'altro punto che riguarda pure l'origine dell'uomo, se cioè si debba mantenere a ogni costo il monogenismo con la Bibbia, ovvero si possa sostenere il poligenismo con un gruppo relativamente piccolo di scienziati, è molto più delicato. Qui i contatti e le implicanze dogmatiche sono molto più strette e dirette che non nella questione dell'antropogenesi. Il dogma del peccato origina1e e le affermazioni ripetute del N. T. (2), che lo fanno risalire unicamente ad Adamo, rendono quasi impossibile, secondo le interpretazioni tradizionali, di poter qui scindere l'elemento scientifico dall'elemento dogmatico. Si comprende perciò come all'apparire della nuova teoria in campo cattolico i teolof!.i (non la Chiesa che non si è ancora pronunciata) l'abbiano, in genere, dichiarata incompatibile con il dogma. Si pensi però, da una parte, che sono relativamente pochi finora gli scienziati che propongono, come ipotesi, il poligenismo e che le ragioni addotte a sostegno non sono per nulla apodittiche. D'altra parte si consideri che l'orizzonte della Bibbia (per quanto essa sembri dare nei primi capi la storia dell'umanità) è ristretto geograficamente e pe,-ciò anche etnologicamente. Il che permette di rinunciare all'universalità antmpologica del diluvio (3), - non ancora in forma ufficiale e non eia tutti i cattolici - come si è rinunciato a quella geografica, non più sostenuta da nessun cattolico, perché scientificamente impossibile. Da notare ancora che all'opposizione contro la non universalità antropologica del diluvio muovono ragioni simili a quelle che si oppongono al poligenismo: affermazioni esplicite del N. T. ( 4), per quanto le ultime appaiono molto più forti. (1) Vedere a questo proposito le sensate osservazioni di F. M. Bourgounioux nel suo articolo: Euai de clanifica1io11 raisonnée des hominidés foJJiles, nel « Bulletin >>, pagg. 138-156. (2) Romani, 5, 12-19; I Co,inti, 15, 21-22 (e Osea, 6, 7, secondo il greco dei LXX). (3) V. LA Sacra Bibbia lradotla dai testi originali con note a cura del Pontificio lstit1110 Biblico, Voi. I, ,pag. 77 e segg. (4) I Petri, 3, 20; 2 Petri, 2, 5 (e Ecclesiastico, 16, 18).

ORIGINE DELL'UOMO E STORIA DELL'UMANITÀ 33r Noi non possiamo certo presumere di farci arbitri in un dibattito tanto delicato e tanto difficile allo stadio attuale della scienza. Crediamo però in genere che il cattolico che ha compreso bene la natura e il valore della scienza e della fede rispettivamente, possa non lasciarsi turbare dalle nuove teorie. Come si disse più sopra, quando la scienza giunge a un'affermazione sicura e inconcussa, attraverso una dimostrazione assolutamente convincente, questa affermazione, per il semplice fatto di essere vera non può essere contraddetta dalla Bibbia che procede dalla Verità in persona, lo Spirito Santo che l'ha ispirata. D'altro lato se la Chiesa parlerà attraverso gli organi del suo magistero solenne, vorrà dire che sente di possedere in sé la verità del!' interpretazione della parola divina che le fornisce una certezza superiore a quella della scienza. Naturalmente il cattolico può studiare il campo della scienza e il campo della fede, se ha la coltura e la formazione necessaria, e collaborare con le sue forze alla chiarificazione del problema nell'uno e nell'altro campo. Nel campo della scienza potrà compiere le sue ricerche nella massima libertà, purché sia pronto a sottomettere i suoi risultati al controllo indiretto della Chiesa. Essendo essi risultati umani, possono, perciò stesso, essere fallibili. Ma sarà libero anche nel campo della Scrittura? Qui egli si trova davanti un'interpretazione di secoli, che per essere stata fatta da interpreti riconosciuti della Chiesa, i Santi Padri, e accettata nel magistero ordinario della Chiesa stessa (nel caso di una dichiarazione solenne da parte della Chiesa che sanziona un'interpretazione patçistica, la questione sarebbe finita), parrebbe doversi imporre con tutto il peso della tradizione autentica, cui spetterebbe il valore stesso della Scrittura. Ebbene, anche se a codesta interpretazione tradizionale s'aggiunga altresì l'autorità dei teologi, che tale tradizione continuano in qualche modo, come investigatori del pensiero dei Padri, lo studioso cattolico dovrebbe, nonostante tutto, sentirsi ancora in libertà. La Chiesa stessa lo invita a tale libertà (1); inoltre l'autorità dei Padri ha potuto e ha dovuto essere abbandonata in punti di portata e carattere scientifico, riconosciuti tali solo in seguito al progresso della scienza (Vedi, per esempio, l'esegesi del I capo del Genesi), per cui nulla di grave o di irreparabile accadrebbe qualora dovesse essere abbandonata su qualche altro punto. Anche questo è detto equivalentemente nel documento citato (2). L'autorità dei Padri è somma nei punti dichiaratamente dogmatici o morali, come testi della Tradizione, o in punti in contatto diretto e indiretto con il dogma; ma per il resto la loro autorità pesa in quanto vale. ( 1) Pio Xl/, Enciclica « Divino affiante Spiritu », § 4. Come trattare le questioni più difficili. « Acta Apost. Sedis », XXXV (1943), pag. 219 del testo latino, pag. 345s del testo italiano. (2) Id., ibid., poco più sotto: « Tengano presente sopratutto .... che tra le cose con• tenute nei Sac:i Libri .... poche sono quelle di cui la Chiesa ha dichiarato il senso, né in ma88ior numero si contano quelle intorno alle quali si ha l'unanime consenso dei Padri ».

332 GIORGIO CASTELLINO Il progresso odierno ci può appunto chiarire che una data questione non entra in quella categoria. I teologi, dal canto loro, non si credono punto in dovere di difendere indiscriminatamente tutto quanto le età passate ci hanno tramandato, unicamente perché tramandato di secolo in secolo, senza l'intenzione e la possibilità di un vaglio che ne rivelasse la precarietà o la provvisorietà o il non interesse per il campo della fede. Essi si sforzeranno, al contrario, di prendere visione di tutti gli elementi nuovi affiorati o da un progresso reale delle scienze, o da un progresso, pure, dell'esegesi, che può valersi ormai di qualche mezzo in più che non nei secoli passati e può collaborare non indifferentemente a mettere in più chiara luce il vero pensiero dell'autore umano della Sacra Scrittura (1). Natui;almente se lo studioso cattolico giungerà a qualche conclusione nuova non pretenderà senz'altro che la Chiesa gli faccia tanto di cappello e accetti subito quelle conclusioni come certe e indubitate, anche se così paiono a lui. Casi simili si ebbero tra la fine dell'altro e l'inizio di questo secolo, ma bastarono pochi decenni per rivelare quanta fosse stata la presunzione di chi aveva ciò preteso. La Chiesa vigilerà, ascolterà, esaminerà il suo deposito, e quando e come giudicherà necessario gotrà intervenire nel dibattito. Sarà dovere del cattolico accettare quel verdetto comunque esso sia con umile sottomissione, sicuro di trovarsi dalla parte della verità. 2. LA STORIA PRIMITIVA DELL'UMANITÀ. Passando ora ai capi in cui si delinea la storia dell'umanità primitiva (Genesi, 4-11), noi constatiamo, a un raffronto con i dati della scienza preistorica, una tale discordanza che è assolutamente impossibile tentarne la conciliazione. 1 Il racconto biblico è tenuto in una cornice cronologica di meno che 4.000 anni, mentre la preistoria, la paleontologia, attribuiscono all'uomo non meno di 100.000 anni. Nella Bibbia noi vediamo una famiglia, che abita uno spazio necessariamente ristretto, moltiplicarsi, scindersi in due , rami, i cui discendenti pervertendosi adducono su tutta l'umanità il castigo di Dio con il diluvio da cui solo otto persone si salvano. Castigo, quindi, universale! La preistoria invece parla di razze varie comparse e scomparse sui punti del globo distantissimi gli uni dagli altri (dall'Inghilterra a Pechino, alle Indie Olandesi, all'Africa) con diversità di culture succedentisi nel tempo e nello spazio. Per di più tutto il racconto biblico è contenuto in uno schematismo: il castigo del diluvio al centro, preceduto e seguito da genealogie e da alcuni altri elementi secondari che ne mettono ancora più in risalto la semplicità straordinaria, ecc. (I) Vedere )! medesimo documento, pag. 346, che ammonisce di ciò espressamente i teologi.

, ORIGINE DELL'UOMO E STORIA DELL'UMANITÀ 333 li problema che sorge da questa discordia sembrerebbe di natura diversa da quello esaminato or ora. Non sarebbe più di natura scientifica, bensì verterebbe sul valore storico della Bibbia. · A questo proposito che cosa dovrà pensare l'uomo moderno? Dovrà convincersi che le prime pagine della Sacra Scrittura conservano tutto il · loro valore estetico, e, se si vuole, anche religioso, ma non possono più essere lette per trovarvi della storia? Oppure dovrà sentirsi costretto a chiudere gli occhi e gli orecchi a quanto la scienza gli dice e gli fa vedere (nei musei della preistoria) sulle sorti dell'umanità primitiva per non negare fede alla Bibbia, o dire che la scienza erra e che le cose si sono svolte proprio secondo la relazione biblica? La scienza ha ricostruito le sorti dell'umanità prima dell'epoca sto- .rica, e per quanto rimangano molti punti oscuri, tuttavia, tenendo conto di quanto ha messo insieme di sicuro, se ne ha abbastanza perché non si possa più pretendere di far concordare in modo assoluto il racconto biblico con i dati della scienza. Ebbene, con tutto ciò noi diciamo che si può accettare la ricostruzione fatta dalla scienza e nel medesimo tempo non negare il valore storico della Bibbia. Ma è possibile? Intanto facciamo osservare che nel raffronto tra Bibbia e scienza si tratta di una difficoltà solo in parte di carattere storico. La preistoria, in primo luogo, è costruita con elementi di pura scienza (nel senso stretto della parola, come quando si parla di scienze fisiche, naturali, antropologiche, ecc.). Ed è bensì vero che essa giunge ad affermazioni di valore storico: l'uomo, di questa o quella razza (Neandertal, Cro-Magnon, ecc.), di questa o quella forma di civiltà (musteriana, aurignaziana, maddaleniana, ecc.) è vissuto nel tale o talaltro punto della terra. Essa non può tuttavia ricostruire la storia continuata, non potendoci dare né un uome, né un avvenimento di detta storia per la mancanza di documenti scritti o memorie tramandate. Inoltre la preistoria organizza tutto l'insieme delle sue cognizioni e dei suoi risultati in un quadro di carattere scientifico, con il procedimento solito delle scienze che cercano di distinguere ciò che è certo da ciò che è solo probabile o addirittura incerto; che mirano all'ordine logico e cronologico con divisioni e suddivisioni, che servono a mettere in risalto la molteplice varietà della materia e insieme ne facilitano il dominio (perché, per quanto esse siano moltiplicate, sono pur sempre una semplificazione della varietà inesauribile della realtà). E allora diciamo per il lato negativo che, siccome la Bibbia non pretende di essere un libro di scienza, non sarà necessario che concordi in tutto con la preistoria, ma sarà anzi ovvio e naturale che essa non concordi • con quegli elementi scientifici caratteristici della preistoria; elementi che

334 GIORGIO CASTELLINO costituiscono gran parte <lei sapere della preistoria e ai quali appartiene, per esempio, il quadro scientifico di essa. Dal lato positivo, la Bibbia, in sé considerata, può così interpretarsi: Un cattolico riconosce che l'autore sacro poteva avere a sua disposizione delle fonti di informazione negate al suo collega, collettore di tradizioni primitive sulle rive del Tigri e dell'Eufrate o nella valle del Nilo. In altre parole, Id_dio può aver guidato l'autore nella scelta del materiale, suggerendogli di fissare per iscritto avvenimenti che coglievano l'umanità in punti cruciali della sua storia e che conveniva fossero conservati alle generazioni future per le profonde lezioni religiose e morali che essi contenevano. Iddio poté guidarlo altresì nell' escogitare il modo di presentare quel materiale colandolo in uno stampo che avesse le caratteristiche della storia concatenata, anche cronologicamente, ma nel medesimo tempo presentasse segni d'al'tificiosità facilmente visibili, che ne mettessero in evidenza la natura peculiare di storia sui generis, e non storia semplicemente, quale sarà quella che traccerà per le epoche storiche del popolo di Israele. Quel metodo che unisce materiale storico con una forma artificiosa non si può negare che fosse il più adatto, se non l'unico adatto, per quelle generazioni primitive, per le quali una storia alla moderna sarebbe stata impossibile e non avrebbe avuto senso. • . E così noi possiamo dire che il contenuto dei primi capi del Genesi può essere storico in tutti i suoi elementi, riconoscendo così il valore stol'ico della Bibbia. D'altra parte lo stampo artificioso nel quale tali elementi sono stati colati. ci dispensa dall'annettere a codesto stampo un valore assoluto. In tal modo non farà più difficoltà il colorito neolitico in cui tutta la storia primitiva è rivestita, né la cornice Ct"onologica. Riflettendo ora alla diversità essenziale tra il quadro scientifico della preistoria e il quadro artificioso della Sacra Scrittura si comprenderà facilmente come essi non concordino e non debbano concordare. In tal modo molte difficoltà restano senz'altro eliminate. Per la verità storica basterà che le affermazioni della Bibbia non siano in contrasto o non contraddicano affermazioni di carattere storico della preistoria in cose essenziali. Ma si può fare un'altra considerazione. E tutt'altro che assurdo il pensare che l'autore sacro abbia avuto a sua disposizione due nuclei fondamentali di materiale: uno di tradizioni circa l'inizio assoluto dell'umanità, l'altro invece che riguardava avvenimenti del periodo ultimo (o neolitico) e che egli abbia legato assieme i due nuclei, guidato a disinteressarsi di tutto l'immenso periodo intermezzo per la poca o nessuna importanza religiosa o morale di esso per la storia dell'umanità. In tal modo i contrasti (e per ciò la necessità di accordo) tra preistoria e Bibbia sarebbero ancora ulteriormente ridotti. Con questa soluzione lo scienziato potrà perseguire indisturbato la sua strada senza timore di scontrarsi con l'esegeta o il teologo; il teologo e l'esegeta a loro volta non si troveranno più nella ingrata necessità di far

ORIGINE DELL'UOMO E STORIA DELL'UMANITÀ 335 concordare a tutti i costi ciò che non può assolutamente essere concordato, ovvero di negare il valore o della scienza o della Bibbia ( 1). 3. PRAMMATICA STORICA. Vogliamo toccare di un'ultima difficoltà che si può raccogliere a proposito non della storia primitiva, ma della storia del popolo ebreo, e, con esso, della storia della redenzione. Un popolo così minuscolo, di nessuna importanza storica di fronte ai popoli che lo circondano: - Siria e Mesopotamia a nord e oriente, Egitto a sud - è il favorito di Dio. Nell'Antico Testamento solo undici capi del primo libro sono impiegati a tracciare la storia delle origini, ma poi tutto il resto dei 43 libri riguarda esclusivamente il popolo ebreo, che viene seguito, àal suo primo formarsi, con la vocazione di Abramo, al suo dilatarsi e in tutte le vicende della sua storia: la dimora in Egitto, la conquista di Canaan, il periodo dei Giudici, quello dei re, la divisione del regno, il tramonto del regno del nord, il tramonto del regno del sud, l'esilio, il ritorno, la costituzione della comunità giudaica, giù fino alle soglie dei tempi nuovi. Tutta l'attività dei profeti è rivolta a lui solo e quando tocca altri popoli circonvicini si è a causa delle loro relazioni, quasi sempre ostili, con il popolo d'Israele. Si potrebbe di più far notare che se i popoli circonvicini entrano, sia pure solo indirettamente, nell'orizzonte della Bibbia, una porzione immensamente maggiore ne è rimasta completamente fuori. Tanta parte dell'umanità preistorica nelle varie parti del mondo e poi tutti quei popoli che hanno occupato le varie regioni della terra al di fuori del bacino del Tigri e dell'Eufrate e del Nilo. Tutta l'India, la Cina, le Americhe, l'interno dell'Africa, l'Oceania, come se non fossero esistite. Dalla sola lettura della Bibbia si direbbe che Dio non si sia interessato di loro. Non facevano esse parte della grande famiglia umana che da Dio aveva avuto le sue origini e a Dio doveva tendere? Una prima risposta a tutte codeste difficoltà e osservazioni sta nella parola: mistero! Quella predilezione divina che è stata la causa della scelta di Giacobbe e del rigetto di Esau (2) è stata pure la causa della preferenza di Israele di fronte a tutti gli altri popoli. Dio è padrone assoluto di tutto e di tutti ed è giusto in tutto e sempre; non nega a nessuno quanto gli spetta, ma dà le sue preferenze a chi vuole senza che sia tenuto a renderne conto a noi, poveri mortali. Pensare alla parabola dei vignaioli in cui il padrone della vigna dà un denaro agli ultimi come ai prin:ii (3). Perciò la ( I) Per una trattazione più ampia e tecnica di questi principi ci 1permettiamodi rimandare a una conferenza che, con altre della Settimana Biblica 1947, uscirà presso il Pon• tificio Istituto Biblico. (2) .i\1alachia, 1, 2-3 e Romani, 9, 12 e seg., con la citazione di Esodo, 33, 19 in Ro- -1na11i, 9, 15. · (3) M"tteo, 20, 1-15.

GIORGIO O.STELLINO vera ragione dell'agire di Dio rimane nascosta, nell'impenetrabile mistero della divina volontà. Ma ammesso il mistero, quello stesso che avvolge il destino dei singoli individui, si può cercare di fissare lo sguardo nella tenebra per coglierne, se ci riesce, qualche barlume. Dio avendo deciso di redimere l'umanità con un piano d'azione che la preparasse alla lontana, preferì di servirsi per questo scopo di un popolo particolare. Qualunque popolo avesse scelto, tutti gli altri rimanevano naturalmente esclusi, dandoci il diritto di riprendere la domanda da capo: Perché quella scelta? E allora domandiamoci: Perché avrà scelto il popolo ebreo come strumento della redenzione umana? . Noi crediamo di vedere in ciò una ragione analoga a quella della scelta degli Apostoli tra poveri pescatori della Galilea. Invece di scegliere persone istruite, capaci, di importanza e imponenti, ha scelto degli individui appartenenti agli strati bassi della società, perché meglio rifulgesse l'opera di Dio e il successo di essa non potesse essere ascritto all'elemento umano. Inoltre perché in quelle classi sociali poteva trovare individui dall'anima semplice, non sofisticati da una cultura puramente umana o da una civiltà che li rendesse incapaci di accogliere il messaggio evangelico in tuttaala sua freschezza. Così ha scelto nell'antichità, come vettore dell'idea messianica, come preparazione alla redenzione, non qualcuno dei popoli più importanti dell'antichità, non il forte Assiro, o il colto Babilonese, o il raffinato Egizio, popoli che per primi avevano fatto sorgere la civiltà sulla faccia della terra, ma tra quelli che erano venuti a trovarsi nel!' area della prima civiltà, scelse il popolo d' Israele, più indietro nella cultyra materiale, non legato da tradizioni antiche riconosciute, troppo difficili a sradicare, meno teso al perseguimento di un progresso industriale o materiale, non invischiato in forme di paganesimo troppo lontano dal concetto monoteistico, con forme di culto licenziose che ne avessero guastato l'animo facendolo affondare nella corruzione. Staccato dalla preoccupazione del progresso civile, perseguito come propria attività specifica, ma godendo, almeno in parte, quanto di esso era necessario alla vita, nella impossibilità di imporre al mondo la propria potenza nella creazione di un impero con la coercizione che veniva dalla forza bruta (come erano essenzialmente gli imperi antichi), il popolo di Israele poteva dedicarsi liberamente a quel compito essenzialmente religioso che Dio gli assegnava e per il quale le sue caratteristiche positive e negative, a nostro modb di vedere, lo rendevano più atto. Infatti codesto popolo non brillò nel mondo per alcuna superiorità di arte (eccetto quella della parola, troppo indispensabile per un messaggio che doveva eternarsi nei secoli) o di pensiero umano o di progresso civile, ma unicamente per superiorità di pensiero e di vita religiosa. Ai tempi gel Nuovo Testamento il Cristianesimo si diffonde nel mondo greco-romano più facilmente, perché era quella la via della vita

ORIGINE DELL'UOMO E STORIA DELL'UMANITÀ 337 e dell'avvenire dell'umanità, che passata attraverso civiltà maturate velocemente nel progresso civile e nel pensiero, avevano dato tutto quanto l'intelligenza umana può dare, lasciandp il palato asciutto e la bocca amara, con il desiderio di qualcosa di superiore e di diverso. Superiore e diverso si presentava il Cristianesimo: superiore perché era una religione che veniva da Dio direttamente e al contatto diretto di Dio portava per le sue origini soprannaturali; divet'So dalla mentalità greco-romana, essendo stato filtrato per entro la mentalità semitica che ne era stata la prima depositaria. Così Dio affidò il suo messaggio e il compito di preparare la redenzione dell'umanità al popolo Ebreo e per ciò fare dovette attendere che attraverso un tirocinio di millenni l'umanità rifacesse a poco a poco in su la strada che aveva disceso per propria colpa nella ribellione e nel suo -0rgoglio contro il suo Creatore. E se a noi pare che Dio troppo abbia tardato a intervenire in favore dell'umanità (ma che sono poi i 600.000 o mettiamo pure un milione d'anni della vita dell'uomo di fronte ai 700 o 800 milioni della vita sulla terra e i 2000 milioni di esistenza della terra stessa?), dobbiamo pensare che il Messia doveva venire nella pienezza dei tempi. Se lunga era stata l'attesa, lungo pure sarebbe, dopo, il periodo <lella realizzazione dell'opera divina. In quei millenni e nell'oscuramento che ne seguì dell'idea religiosa e nélla degenerazione conseguente, che fece scendere l'umanità verso le esperienze più basse della sua natura, questa umanità doveva rendersi conto della propria miseria e dell'irreparabile errore d'essersi allontanata da Dio, per cui quest'essere doveva presentarlesi come un bisogno imprescindibile della sua natura e come un ideale da doversi nuovamente raggiungere. Quàndo e come l'umanità abbia ripreso la sua lenta ascesa non sappiamo, ma la Scrittura forse vi accenna con la notizia di Genesi, 4, 26: « A quel tempo (tempo-di Enos figlio di Seth) gli uomini cominciarono a invocare il nome del Signore». E terminiamo le nostre riflessioni, che potranno apparire oziose, con una similitudine. Un viaggiatore si propone di andare per il mondo affine -di conosce.re paesi e civiltà. Si prefigge una meta, traccia un percorso e parte. A mano a mano che procede stende il diario del suo viaggio, traccia disegni di paesaggi e di monumenti, descrive scene, segna i suoi incontri: i paesi visitati, i personaggi conosciuti, gli usi e i costumi dei popoli che attraversa. Ne risulta una relazione documentata, interessante, vivida. Chi la legge, vedendo che l'autore descrive una porzione sola del mondo abbastanza ristretta, avrebbe forse ragione di criticarlo e di lamentarsi che non descriva pure gli altri paesi e altri popoli lontani? No certamente; la pretesa sarebbe ingiustificata e irragionevole. Leggendo il Milione di Marco Polo, che descrive il suo viaggio al Catai, non possiamo pretendere di trovarvi la descrizione' delle Americhe o dell'Oceania. · Orbene la Bibbia è per noi un'opera analoga. Essa contiene la descrizione della via seguita dalla Provvidenza nel suo viaggio per venire alla

338 GIORGIO CASTELLINO redenzione dell'uomo. La via da essa percorsa è passata per la Palestina e ha toccato appena i paesi circostanti e i loro popoli. Non possiamo perciò pretendere che ci faccia la descrizione di tutti gli altri paesi e la storia di tutti i popoli che li hanno abitati. Che la Provvidenza d'altronde non si sia disinteressata né delle altre regioni, né degli altri popoli, l'aveva già avvertito con le profezie universalistiche dell'Antico Testamento (1) e aveva fin d'allora fatto comprendere che la redenzione doveva estendersi a tutti i popoli anche a quelli allora fuori dell'orbita palestinese e del medio Oriente. Origine e destino dell'umanità. Quella è contenuta nell'Antico Testamento, questo sopratutto nel Nuovo. L'uomo ne ha abbastanza per quel che riguarda la sua salvezza. Se la sua curiosità non resta appagata in pieno, non ne deve far colpa a Dio, come se Egli si fosse compromesso di fornire all'uomo la soddisfazione di tutte le sue curiosità anche nobili e legittime. Il velo del mistero Iddio lo ha sollevato per noi, ma solo un poco; per una parte molto maggiore, in questa, come in tante altre questioni e in tanti altri rami dello scibile, rimane abbassato e lo sarà, probabilmente, sempre per noi. Possiamo, sì, sforzarci di penetrare il mistero, ma, se non riusciamo, accogliamo il consiglio di Dante: State contenti, umana gente, al quia. (Purgatorio, III, 37) GIORGIO CASTELLINO. ( I) l1aia, 2, 2-4: Michea, 4, 1-4.. I lettori dei << Quaderni di Roma» ricorderanno l'importante articolo del compianto p. Sertillanges comparso nel fase. IV, 1947, di questa rivista su « La creazione dell'a11i111a umana».

DOCUMENTI DI UMANITA NELLA PRIMA LETTERATURA CRISTIANA (1) La naturale commozione di chi sale la prima volta una cattedra universitaria per professare con piena responsabilità la disciplina e cui dedica la sua quotidiana fatica è fesa in me più viva dalla considerazione della novità che riveste l'odierno episodio della vita accademica. La Facoltà di Lettere e Filosofia del nostro Ateneo è infatti la prima, fra le Università di Stato italiane, che abbia istituito una cattedra di letteratura cristiana antica. Un noto e non lontano precedente di tale istituzione mi è caro ricordare in questo momento, in quella che fu la mia scuola, l'Università Cattolica del Sacro Cuore, ove la memoria del primo titolare di questa disciplina, Paolo Ubaldi, è tuttora ben viva, come quella d'un incomparabile maestro di scienza e di sapienza. Ma anche a tale precedente non è estranea la nostra Facoltà, poiché fu qui che l'Ubaldi tenne, dal 1909 al 1919, quei corsi liberi di letteratura greca che egli dedicava agli autori cristiani, suscitando un vero entusiasmo per questo nuovo ramo di studi, entusiasmo dimostrato dal numero degli alunni che frequentavano le lezioni e sostenevano volontariamente l'esame, dalle molte tesi di laurea, di cui alcune furono onorevolmente pubblicate, dal ricordo affettuoso che, a distanza di trent'anni, ne conservano gli antichi discepoli. Già in quegli anni la Facoltà s'era proposta di dare a questi studi un autorevole riconoscimento, istituendo il corso ufficiale di letteratura greco-cristiana da affidare per incarico al prof. Paolo Ubaldi. Una prima proposta presentata all'uopo dal Preside Giovanni Vidari il 12 maggio 1913 fu rinviata a ulteriore esame, e ritornò all'ordine del giorno nel marzo dell'anno seguente. Nell'ampia discussione la domanda dell'Ubaldi fu appoggiata oltre che dal Preside Vidari, dai proff. Ettore Stampini, Italo Pizzi, Pietro Fedele e da due altri membri della Facoltà che allora non prevedevano di doversi nuovamente occupare della cosa dopo trentatré anni, e che oggi, io penso, sono lieti d'aver potuto conseguire risultati più compiuti di quelli che allora si proponevano: voglio dire del prof. Angelo Tac- ( 1) Prolusione al corso di letteratura cristiana antica, tenuta nella Facoltà di lettere ~ filosofia dell'Università di Torino il 2 dicembre I948, ampliata per la stampa in alcune parti.

340 'MICHELE PELLEGRINO eone, decano della Facoltà che nel 1946 richiese il concorso per la cattedra di letteratura cristiana antica e poche settimane fa chiamava a coprirla un discepolo dell'Ubaldi, e del prof. Gaetano De Sanctis, che fu presidente della commissione giudicatrice del concorso stesso. La proposta venne allora approvata con 14 voti su 15. Ma anche quella modesta meta dell'incarico non si poté raggiungere, a causa del parere negativo espresso dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, come comunicò il preside, senza indicarne le ragioni, il 26 febbraio 1915. L'attività dell'Ubaldi, salito poi alla cattedra di letteratura greca dell'Università di Catania, fu continuata da Sisto Colombo, anch'egli, come l'Ubaldi, figlio spirituale di quel Don Bosco che primo aveva dato vita a una collana scolastica di antichi scrittori cristiani. Il Colombo, libero docente di letteratura latina, si' occupò particolarmente degli scrittori cristiani della latinità, dal 1925 fino alla morte, avvenuta prematuramente nel 1938, destando egli pure intorno a sé vivo e operoso consenso di discepoli affezionati. A questi uomini che, con totale disinteresse, spinti unicamente dal1' amore pçr le lettere cristiane e per la scuola, coltivarono questi studi con esemplare zelo e competenza, va oggi il mio pensiero grato e devoto: all'Ubaldi in primo luogo, al quale debbo un poco di conoscenza e molto amore per l'antica letteratura cristiana. In questo pensiero sento fraternamente unita la schiera dei discepoli dei tre Atenei di Torino, di Catania e di Milano, nobilmente rappresentati in questo uditorio. La chiara consapevolezza del significato di questa disciplina, che ha ispirato agli illustri Colleghi l'istituzione della Cattedra e, mi si permetta di aggiungere quello che il cuore mi suggerisce, l'intelligente a.more con cui numerosi studenti vi si sono dedicati nei sette anni dacché essa è oggetto d'insegnamento ufficiale, mi dispensa da un compito che la menzionata novità parrebbe imporre: voglio dire la giustificazione d'un campo di studi cqe assume oggi pieno diritto di cittadinanza in questa Facoltà. Le considerazioni che vorrei brevemente presentare tenderanno piuttosto a illustrare il significato interiore, vitale, di questa disciplina e i princìpi ai quali mi sembra debbano ispirarsi i suoi cultori. * * * E concezione diffusa - sebbene una progredita coscienza abbia oggi in certa misura dissipato siffatti luoghi comuni della cultura - che la letteratura cristiana dei primi secoli esprima soprattutto preoccupazioni teologiche, apologetiche, polemiche, morali, ascetiche, che ne limiterebbero l'interesse mortifa:andone il valore universalmente e perennemente umano. Un fatto è evidente: fino al quarto secolo i documenti della letteratura

DOCUMENTI DI UMANITÀ 34r cristiana a noi pervenuti dimostrano quasi tutti un carattere squisitamente pragmatico: le necessità della catechesi suggerirono la redazione degli Evangeli; incertezze nel campo del pensiero e dell'azione, dissensioni e disordini che travagliavano le comunità indussero Paolo a scrivere ai fratelli, per esempio, di Corinto, della Galazia, di Roma; nelle sue lettere alle varie chiese Ignazio non si stanca di affermare l'integra umanità di Cristo e di esortare alla concordia nell'obbedienza e nella carità, come aveva fatto Clemente di Roma scrivendo ai Corinzi turbolenti; la nutrita serie degli scritti apologetici ha scopi ben dichiarati dì difesa e di conquista. Ma, com'è ovvio, tale intento non è criterio determinante per giudicare del valore essenziale del documento letterario, valore che dipenderà dalla sincerità del contenuto umano ch'esso rivela e dalla purezza di forma d'arte in cui ha trovato la sua adeguata espressione. Alla letteratura di qualsiasi periodo e tendenza noi chiediamo in primo luogo una risposta alle più profonde esigenze dell'uomo; tale risposta giustifica i nostri studi, se altri mai, « umanistici >>, come quelli che hanno a centro l'uomo nell'integrità del suo essere e delle sue esigenze. Ascoltiamo, adunque, alcune di queste risposte: non quelle che risonarono sulle labbra di Cristo stesso, poiché la pienezza di valore umano del messaggio evangelico è, possiamo dire, universalmente riconosciuta, ma piuttosto quegli echi che esso destò nelle prime generazioni cristiane, approssimativamente, dei primi tre secoli, e di cui ci dànno testimonianza le opere letterarie. Non che altre fonti, quali le iscrizioni cimiteriali, le lettere private che tornano alla luce sui papiri egiziani, le opere d'arte figurata, siano mute in questo proposito; ma evidenti ragioni pratiche ci obbligano a restringere il campo della nostra investigazione. I. Esigenza fondamentale dell'uomo è rendersi conto del significato e del valo-re della .rua vita, come vita umana, a prescindere dalla diversità di circostanze in cui essa può attuarsi. Il cristianesimo dei primi secoli non solo si affermò con ogni energia come vita ( ricordare le due vie, della luce e delle tenebre, della vita e della morte, che tanta parte han~o nella Didaché e nella lettera detta di. Barnaba; cfr. anche. [Clem.] II Co-r., 1, 6), ma fu presto nella necessità di chiarirsi e di difendersi su questo punto essenziale. La sua concezione della vita ultraterrena come quella a cui tutta l'esistenza di quaggiù è indirizzata, la coerente prassi di chi affrontava serenamente la morte piuttosto di rinnegare la sua fede e senza rimpianto rinunziava a valori giudicati al confronto piccole cose, inducevano i pagani a supporre nei seguaci della nuova fede un cieco fanatismo: « O stoltezza stravagante e incredibile sfrontatezza' Tengono in nessun conto i tormenti presenti, mentre paven23. - Quaderni di Roma.

342 MICHELE PELLEGRINO tano quelli incerti e futuri, e mentre temono di morire dopo morte, frattanto non temono di morire». Così Cecilio, fedele interprete, ne11',0ctavius minuciano (8, 5), della mentalità pagana. « E voi frattanto», continua l'implacabile accusatore, « incerti e ansiosi, vi astenete dagli onesti piaceri: non frequentate gli spettacoli, non intervenite alle feste; i pubblici banchetti, le sacre gare han luogo senza di voi» ( 12, 5). Anche per Celso (ap. Orig., C. Cels., III, 78, 80) i cristiani, sedotti da vane speranze, disprezzavano i beni della vita, nell'attesa di qualcosa di meglio (1). La risposta dell'apologista cristiano attinge volentieri a1 tesori d'una sapienza eh' era divenuta patrimonio comune; con accenti in cui Seneca riconoscerebbe alcun.e delle sue pagine migliori, replica Ottavio: « Quel che si dice di noi, che i più siano poveri, non è a nostra infamia, ma a gloria; l'animo, infatti, come per il lusso si snerva, così si rafforza con la frugalità. Ma, d'altra parte, come può esser povero colui che non ha bisogni, che non brama l'altrui, che è ricco dinanzi a Dio? Più povero è colui che, pur avendo molto, desidera ancora di più .... Se giudicassimo vantaggiose le ricchezze, le chiederemmo a Dio .... Ma noi.... desideriamo piuttosto l'im;1ocenza,chiediamo piuttosto la pazienza, preferiamo essere buoni che prodighi» {36, 3-7). Non dunque sterile rinunzia, ma sforzo d'ascesa a più veri e alti valori. Se il cristiano evade dal mondo burrascoso, dirà Cipriano, è per trovare in Dio la sorgente di più profonda letizia (Ad Don., 6). Anche il dono della vita è giustificato dalla dedizione ai supremi ideali e dall'attesa della vita che non tramonta. Al proconsole, che minaccia di scatenargli contro le belve se non muta opinione, risponde Policarpo: « Chiamale pure: noi non cambieremo mai il meglio col peggio; è bello invece cambiare il male co~ giusto.... ». E quando qu~gli parla del rogo: « Tu mi minacci un fuoco che brucia per un'ora e tosto si spegne, perché non conosci il fuoco del futuro giudizio e dell'eterno supplizio riservato agli empi» (Mart., 11, p. 4, Knopf-Kriiger; cfr. Acta Iustin., 5, 4, p. 17). « Non invano, dichiara Origene, offriamo il nostro corpo alle torture e alle bastonate.... E noi riputiamo cosa grata a Dio l'essere bastonati per la virtù, l'essere torturati per la pietà, e per la santità morire cosa conforme a ragione; ' preziosa infatti agli occhi di Dio è la morte dei suoi santi ' » (Ps., 115, 15); « e diciamo essere buona cosa il non amare la vita» (C. Cels., VIII, 54). Solo un lettore sprovveduto e superficiale potrebbe leggere in questa vigorosa conclusione una prova di fanatismo. La parola di Origene non si comprende nel suo genuino significato se non nel coro delle voci di fratelli che esaltano nella morte del corpo la nascita alla vera vita. (I) Altri passi paralleli sono indicati nella mia edizione dell'Octavius, Tarino, 1947, nota a 815.

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