Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

LA REGIONE NELLA COSTITUZIONE ITAUANA • 255 soffocare, propugnando un sistema di ampio decentramento in cui, fra l'altro, trovasse posto un nuovo ente territoriale diverso dai Comuni e dalle Provincie e intermedio fra essi e lo Stato. Questo ente era la Regione. Ad essa il Minghetti, che riuscì a concretare l'idea in un progetto di legge presentato il 13 marzo 1861 alla Camera dei Deputati, proponeva di affidare l'istruzione, le accademie di belle arti, gli archivi storici, i lavori pubblici d'interesse né statale né provinciale, la tutela dei boschi, il mantenimento degli esposti e dei mentecatti; ma il progetto, con altri tre che anch'essi attenevano all'amministrazione locale, fu respinto dalle Assemblee legislative pér l'eccessiva preocc1,1pazionedella minaccia che ne sarebbe derivata all'unità dello Stato. Fu, dunque, una considerazione politica che fece fallire questo tentativo, tanto più notevole in quanto non sarebbe stato ripetuto lungo tutta la nostra storia legislativa fino al giorno della sua ripresa per opera dell'Assemblea Costituente. Il R. D. 20 marzo 1865 n. 2248 sull'amministrazione comunale e provinciale, che il Governo emanò per delega del Parlamento, inferse un colpo decisivo alle speranze di coloro che nel travaglio per l'unificazione amministrativa del nuovo Stato avevano intravisto l'occasione favorevole al decentramento regionale, oltreché a una maggiore autonomia degli enti locali esistenti. Ma, se l'idea regionale uscì sconfitta sul piano legislativo, essa continuò ad essere coltivata negli studi di uomini eminenti. Fra questi vanno ricordati lo stesso Minghetti, che ne scrisse in un opuscolo intitolato « Le regioni >> (1867) e poi nel libro su « I partiti politici e l'ingerenza loro nella giustizia e nell'amministrazione» (1881), e sopratutto il Saredo '(La legge sull'amministrazione comunale e provinciale, 1901), cui si deve un esame in termini concreti del problema. Con la dottrina e la competenza che unanimemente gli si riconoscono, egli rileva l'opportunità di trasferire a enti locali quelle funzioni esercitate dallo Stato che si riferiscono a interessi territorialmente delimitati: potrebbero, così, gli affari delle rispettive circoscrizioni ricevere il trattamento che meglio corrisponde alle loro caratteristiche, mentre l'azione dello Stato, alleggerita in correlazio!1e, si esplicherebbe con maggiore efficienza nelle materie che gli son proprie. Altro notevole vantaggio sarebbe quello di allargare, attraverso la par\ecipazione ai consigli locali, i quadri dei cittadini preparati ad amministrare la cosa pubblica. Né v'è da temere per l'unità, la quale piuttosto si rinsalda nel rispetto delle diversità locali, come non costituisce un'obbiezione, ma un argomento a favore, la varietà di regolamento che per effetto delle autonomie amministrative si produrrebbe nelle singole parti d'Italia. Peraltro, se si vuole attuare un decentramento territoriale in tutto adeguato alla varia delimitazione degli interessi locali, è d'uopo riconoscere che la suddivisione del territorio dello Stato in Comuni e Provincie appare insufficiente a causa dell'esistenza di cospicui gruppi d'interessi che, senza raggiungere un rilievo

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==