Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

UGO BIANCHI Particolarmente interessante è una di queste formule, di cui importa notare il contenuto morale e provvidenziale, e quindi il notevole parallelismo con le parole di Dario in Eschilo e generalmente con tutto l'ethos della tragedia eschilea: « E un gran Dio Ahuramazda che ha creato la terra quaggiù, il cielo lassù, l'uomo, che ha creato il benessere per l'uomo, che ha fatto Dario re, lui solo re di molti .... » ( 1). Va osservato anche che la coscienza del fare, del costruire (2), nonché del richiamarsi alle opere dei propri padri e al superamento di esse, è caratteristica delle iscrizioni regali persiane e non è affatto estranea alla tragedia (cfr. ad es. v. 780, v. 102 sgg.), come non è estranea la coscienza della continuità con le opere paterne: anzi saranno proprio le opere paterne l'argomento dei cattivi consiglieri di Serse che spingeranno il giovane re alla disfatta (cfr. vv. 753 sgg.). Tutti gli elementi finora sommariamente accennati, paragonati ai « Persiani » di Eschilo, ci fanno sentire questa tragedia com~ profondamente, interiormente vera. Non saranno materialmente storici molti elementi formali (anacronismi, inverosimiglianze, ingenuità), a cominciare da quello evidente della idealizzazione di Dario: ma qui l'interesse storico particolare, persi i suoi caratteri contingenti, si risolve in un superiore e generale interesse umano, e Eschilo introduce nella vicenda, che ha interiormente meditato (o meglio deduce dalla squisita sostanza di essa), quei valori e quelle considerazioni universalmente umane che conformano la realtà delle cose e, quindi, si specchiano nella sua viva intelligenza di osservatore e di poeta. * * * Per la terza volta l'ombra del morto re riprende a parlare, e la tragedia continua a delinearsi nella sua interezza e nella sua evidenza. Dopo le responsabilità di Serse e quelle dei suoi consiglieri, ecco le responsabilità dell'esercito persiano. Disfatti, solo in piccola parte i soldati di Serse hanno varcato lo stretto di Elle: il quadro si chiarifica e si completa nelle parole del veggente che interpreta l'oracolo (3). « Molti dei pochi, se bisogna credere agli oracoli degli dei, considerando le cose ora compiute: giacché non si avverano alcune sì e altre no. E poiché così è, egli (Serse) lascia, confidando in vane speranze, una scelta schiera dell'esercito. Restano dove l'Asopo colle sue correnti irriga la pianura, appropriato nutrimento alla terra beotica: là resta loro di patire_ il (1) WEISSBACH, o. c. pag. 87, cfr. 107 ss. Il MEILLET osserva che la parola adà dell'iscr,izione « exprime la création divine réalisée, une fois pour toutes, et ak1111aus signifie qu'un roi a été institué pour un temps indeterminé ». ( 2) Dice Serse: « Ciò che io ho compiuto qut e ciò che ho compiuto altrove, tutto ciò io l'ho compiuto per grazia di Ahuramazda; che Ahuramazda con gli dei protegga me, il mio regno e c.iò che ho compiuto>>. \X1 EISSBACH, o. c. pag. 109. (3) vv. 800-83 I.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==