Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

232 UGO BIANCHI i raggi del sole, invidiato dai Persiani, felice vita trascorresti, come un dio, e ora ti invidio morto prima d'aver visto la profondità dei mali .... » (1). L'affermazione del defunto re è in regola con l'esigenza di saggezza che egli impersona: non è infatti il pessimismo volgare dello q,Wvoç &e:wv, come non è il pessimismo totale di un Mimnermo o di un Semonide: è solo l' affermazione, se vogliamo un po' dura, ma non meno realistica ed equilibrata, che la vita umana, in quanto tale, e tanto più se lunga, è soggetta naturalmente a mali. Specificamente pai le parole sono del tutto intonate, perché, come ben nota la Ghezzo (2), i mali attuali dei Persiani << provengono effettivamente dal mare e dalla terra ». Nella sticomitia che segue (nella quale la regina mette Dario al corrente del disastro e delle circostanze di esso) ritorna il concetto di un d_emone che avrebbe oscurato il giudizio del giovane re (;v, 724 sgg.); checché ne sia di questo (3), subito dopo viene sicuramente individuata da Dario stesso la respansabilità morale di Serse (v. 742). « Ahimè, rapido giunse il compimento dei vaticinii, su mio figlio Zeus fece piombare l'adempimento degli oracoli; io poi speravo che gli dei (li) partassero a compimento dopo lungo tempa: ma quando uno da sé si adopra (o-1te:ulìn), anche il dio si adegua (o-uwx1t-re:-ra(L) 4 . Ora una sorgente di mali sembra essersi aperta per tutti i miei; mio figlio, non considerando (où xomLlìwç), compì queste cose con la giovanile (sua) tem'erarietà » (5). Ed ecco che ritorna il motivo già presentito dal coro all'inizio della tragedia: « Egli che sperò di trattenere come servo in catene la sacra corrente di Ellesponto, il Bosforo (6), corrente divina (p6ov &e:ou) !... ». « ESSENDO MORTALE CREDETTE, NON CERTO SAPIENTEMENTE, D'IMPORSI A TUTTI GLI DEI E A POSEIDONE, E IN QUESTO CHE ALTRO SE NON PAZZIA POSSEDETTE MIO FIGLIO?» (7). Ecco la dismisura, o meglio il disordine colpevole, la il~pL¼: la mancanza voluta di saggezza che significa oltraggio alla Divinità (8), superbia blasfema e anche omicida. Questi due aspetti del!' il~pLç, così strettamente collegati, si accompagnano regolarmente in Eschilo, come a mostrare che il secondo è il prolungamento sociale del primo, è la terribile eredità di Ate che l'empio incatena infallibilmente a se stesso. I passi atti a chiarire questo abbondano a volontà. ;ti la tragedia di Serse, empio e distruggitore del suo popalo, la tragedia di Eteocle e di Polinice, la tragedia (1) V. 709 sgg. ( 2) Op. cit., in I. ( 3) Ho cercato di illustrare nelle pag. preced. il significato di simili espressioni. (4) L'oracolo - proprio della omniscienza divina che comprende in un solo sguardo le umane vicende scaglionate nd tempo - non toglie la responsabilità, anche se ne prevede le tristi conseguenze. (5) vv. 739 sgg., cfr. il ~oupLOç dei vv. 718 e 754 che però ha, nella bocca della regina, un senso di materna indulgenza. ( 6) C'è qui confusione tra i due stretti. (7) vv. 745 sgg. (8) Cfr. infra.

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