Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

MOTIVI RELIGIOSI ED ETICI DEI « PERSIANI » DI ESCHILO 229 « colui che non dimentica >> (Y),0t&). Ora, questa parola, che ha il significato di « punitore», l'avrà usata il nunzio persiano in senso proprio o non piuttosto le avrà dato un senso improprio e più generico, equivalente, ad es., a quello dell'espressione x<>:xòç~0tlµwv? lo credo logico che Eschilo intenzionalmente abbia posto il termine nella bocca del messaggero, affinché il suo racconto contenesse, in tinta tenuissima, le grandi linee logiche e morali che con ogni evidenza si snoderanno poi nella parte risolutiva della tragedia (1). Alle parole del Nunzio fanno eco le parole della Regina: « o terribile demone, che ingannasti nell'attesa i Persiani!» (v. 472); subito dopo però essa soggiunge: « Mio figlio, credendo di esigere il contraccambio ( dei morti a Maratona nella precedente guerra persiana) si attirò un così grande fardello di disgrazie ». Qui già si affaccia timidamente il tema che troverà sviluppo definitivo nella seconda parte del dramma (2). Le parole con cui i vecchi Persiani concludono il dialogo riassumono poi il motivo dominante di esso: « o luttuoso demone, quanto pesantemente calpestasti sotto i piedi tutta la schiatta persiana!» (3). * * * Col primo stasimo si penetra davvero nel motivo tragico dei Persiani. L'ispirazione del sacro rito del canto è religiosa, di una religiosità tanto superiore a quella dei sacri inni di Alcmane, di Bacchilide,,di Simonide, dello stesso Pindaro. Il Coro innalza immediatamente lo spirito a Zeus, non agli dei che han riempito finora le espressioni del Nunzio o della Regina, non all'indeterminato ~0tfµwv, che incombeva cupo sull'animo dei personaggi del dramma. E proprio Zeus, inteso nel suo proprio attributo di « re », in un atteggiamento spirituale che lo riconosce come il personale sapiente regolatore delle cose umane: ogni idea di Fato impersonale e cieco è esclusa (4). << Ora tu dei Persiani orgogliosi il numeroso esercito hai rovinato, e hai avvolto in buia afflizione la città di Susa e quella di Ecbatana ». Subito dopo, poi, nella parte strofica, si dice finalmente ciò che né la regina né il nunzio hanno detto, né finora il coro ha chiaramente e apertamente pro- (1) Un altro &Ma-rCùp iù famoso nella poesia del nostro è quello che ,incombe su Agamennone, suscitato dalle ingiustizie del condottiero greco. Interessanti i versi 497-500: i! nunzio narra la ritirata dell'esercito persiano attraverso la Grecia: <<echi prima non onorava p!:r nulla gli dei, aJlora implorava con preghiere, adorando la terra e il cielo ». (2) Cfr. anche le parole della regina (v. 293), all'annunzio della disfatta: « cosi è neces• sità ai mortali sopportare le sciagure, quando le dan gli dei». Qui non si indaga il perché di esse, il che verrà fatto dal poeta e dai personaggi nella second3. parte1 risolutiva della tragedia. (3) V, 515 sg. Trad. GHEZZO. ( 4) Anche il coro dei vecchi Argivi comincia con la stessa elevazione un canto, questa volta di gioia e di ringraziamento, il primo stasimo dell' Agamennone: W Ze:ù f30(a~Àe:U, x.i:xì. vUt; <pt:X(oc.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==