Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

MOTIVI RELIGIOSI ED ETICI DEI « PERSIANI » DI ESCHILO 22 7 Moìpo: ( cfr. µÉpoç = la parte assegnata) di provenienza divina (~63-zv) (1); certo, il contenuto di quegli elementi è contingente, ma la necessità di saggezza individuale e politica e di rispetto delle leggi divine, a chiarire la quale essi ~ono chiamati, è perennemente valida e umana e fa sì che la tragedia sia vera anche oggi. Siamo ora al primo episodio; è entrata nella scena la regina madre, Atossa, vedova di Dario e madre di Serse (2). Nelle ultime parole rivoltele dal Coro risuona ancora lo stesso vago motivo del cattivo presagio: « Se pur l'antico 80:(µwv or non cambiò atteggiamento verso l'esercito». Come si vede, siamo nello stesso ordine di idee cui accennavò poc'anzi. Mentre nel coro regna la preoccupazione circa la sorte del re e dell'esercito, nel cuore di Atossa c'è un brutto presentimento per l'incolumità di colui che ella chiama «occhio» della casa (3), senza il quale sono inutili i tesori, pur necessari al suo fasto, e il timore che quella grande ricchezza, « spargendo di polvere il suolo, non faccia rovinare, con un colpo di piede, la prosperità che Dario eresse, non senza l'aiuto di un dio» (4). Anche qui non si deve pensare senz'altro che il timore per la troppo grande ricchezza costituisca uno degli elementi fondamentali del pensiero eschileo: si pensi che chi parla, la regina, non interpreta affatto la mente del poeta, ma anzi risente molto della sua qualità di madre, poco portata a giudicare serenamente delle responsabilità del figlio. Certo, non voglio nascondermi che espressioni che suonano in maniero analoga le leggiamo anche nell'Agamennone, e proprio per bocca del Coro (5): « Aver gloria eccessiva è un peso; colpisce le cime il fulmine di Zeus. Io preferisco una prosperità che non desti invidia (più chiaro il gr. iiq>&ovoç). Che io non sia mai distruttore di città! E nemmeno, prigioniero, io possa vedere la mia vita schiava di un altro» (6). Peraltro, mi sembra, anche queste parole non accennano ad altro che al pericolo che troppa prosperità generi superbia (7). Immediatamente prima, infatti, il poeta aveva spiegato: « Agli ( I) In qu<slo senso la personificazione della lfo7.F~, tolto ogni particolare riferimento mitologico, si rivela come essenzialmente dovuta all'immaginosa plasticità del linguaggio poetico. Per la stessa ragione il poeta personifica in Ate il danno relativo alla colpa. (2) Il Coro si rivolge a lei con parole degne di sudditi d'un re orientale: « moglie del dio dei Persiani, fosti anche madre di un dio». (3) Altrove (nell'Agamem1one) Eschilo con espressione sentita chiamerà il padrone « colui che si aggira per la casa ». (4) v. I63 sg., lrad. Ghezzo. Segue il racconto del sogno e della visione, che dovrebbe leggermente confermare i timori riguardo l'esito del tentativo di Serse di gettare il «giogo» sulla libera Ellade (v. 181 sgg). Notevole qui l'accento palriollico. (5) Sono ben lontano dall'ammettere con lo Schlegel, dal Perroua in questo giustamente confutalo (I tragiri greci, pag. 19), che il Coro sia, per sé, uno « spettatore ideale». I cori delle diverse tragedie vanno definiti singolarmente; ora, tenendo conto di questa necessità, sembra che il Coro dei Persiani e dell'Agame1111011e, bene spesso, e specialmente negli apprezza- ~nti di ordine universale, esp[Timala mente di Eschilo. (6) Agam. Stasimo I, Antistrofe lii ( trad. Perrolta). li Weil congettura la lezione «µé-:po,, '76 f,tl-r,a-;0•1 » alla metà della 1n strofe dello stesso stasimo: ma il contesto metrico, per l'analogia con J'Antislr. lii, sembra escluderlo. (7) Cfr. PERROlTA, Op. rit., pag. 48. Male interpreta MONDOLFO (Op, rit., pag. 328)

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