226 UGO BIANCHI afferma: « Ma insidioso inganno di un dio, quale uomo mortale sfuggirà? chi sarà che con piede veloce con un balzo felice si slanci? Dolce Ate (1) blandisce e attira l'uomo in reti, donde non è possibile che mortale per dibattersi evada » ( 2). Qui sembrerà di riudire l'eco del famoso « q>1l-6voç &wv » erodoteo che abbatterebbe l'eccessiva fortuna dei mortali: in più vi sarebbe l'astuto provocatore inganno che illude il mortale dalla corta vista e poi amaramente lo delude. Ma non è cosÌ: bisogna tener presente che simili accenni compaiono con prevalenza assoluta, insieme ad analoghe affermazioni di personaggi che sono per entrare in scena (la regina madre e il nunzio), nella prima sezione della tragedia, quella in cui si addensano e si pongono gli elementi tragici in maniera confusa e oscura. Le espressioni del coro sono tuttora vaghe - specialmente se confrontate con quelle mirabili di evidenza umana e anche poetica della parte risolutiva del dramma, - ma non tanto da non aprire fin da ora uno spiraglio di luce alla saggezza dei vecchi Persiani, che proseguono cosÌ il loro canto: « Infatti la sorte (Mo'i:pot) di divina provenienza (&6-&Ev) fin dall'antico esercitando il suo dominio impose ai Persiani di curare guerre distruggitrici di fortezze e assalti equestri ed eversioni di città: ma essi impararono a fissare a cuor leggero il sacro recinto (ixÀcroç) dell'ampio spumeggiante mare.... per questo il mio animo vestito a lutto è lacerato dalla paura » ( 3). Con questa espressione di timore ancor vago termina la parodo, che assomiglia in maniera notevolissima a quella dell' Agamennone: anche qui, sparse tra gli accenni al trionfo del condottiero greco e del suo esercito distruttore di Ilio, sono espressioni di timore, che ricordano velatamente il debito contratto con la giustizia (~(x·~) da parte di Agamennone, coll'uccisione di Ifigenia, sacrificata non al Dio ma alla propria ambizione (4). Vi è stata dunque in Serse mancanza di saggezza. (crwcppoauvr,), la quale non fa affatto bene sperare. Bisogna apprezzare criticamente questi elementi, la sacralità incoercibile del mare e la natura continentale della potenza persiana, che influiscono su una imprescindibile esigenza di saggezza, basata sulla natura stessa delle cose ( 5), per cui si può parlare di ( I) Qui personificazione del danno, che colpisce l'uomo per fargli pagare una colpa. Cfr. Agamennone, v. 385 sgg.: « Spinge con violenza la sciagurata persuasione, insopportabile figl.ia della calamità (&:To:.) sua consigliera: ogni rimedio è vano: non si nasconde, ma risplende, luce dal fosco bagliore, ùl danno (a(voç), Come cattiva moneta di rame, col logorio del contatto, il colpevole diventa nero, condannato .... >> (trad. Perrotta). Come si vede, i due passi dei Persiani e dell'Agamennone sono corrispondenti nel significato e nell'espressione. Altrove (Agam. verso 361) "A 71) non significa che << danno », « calamità ». (2,) Strofe e Antistrofe 111, vv. 93-101. Trad. GHEZZO, I Persiani, Messina-Milano 1942. (3) vv. 102 sgg. (4) Naturalmente questo secondo Eschilo; nel mito - oggettivamente preso - questo episodio •può ben avere un altro significato. Più tardi, in ambedue Je tragedlie, avranno evidenza rispett,ivamente le colpe e dei soldati pe'rsiani e di quelli greci, distrutto.ni, gli uni e gli altri, dei sacri lSpvµ<X7C< degli dei. (5) Cfr. W. KRANZ, SJaJimoll, Berlin 1933, pag. 94.
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