Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

L'IO E LA I\AGIONE NELL'UMANESIMO CRISTIANO r99 statazione è, a parer mio, che « accorgersi degli errori è potenza della ragione »; mentre I-a conclusione del capitolo stesso suona come un proclama di fede nella vita: « Quale che possa essere la devastazione portata dall'errore nella vita degli individui, dei popoli e delle epoche storiche il vero rimane la regola e l'errore l'eccezione: e non importa che il vero sembri talora ridotto a un angolino, mentre tutta la stanza è invasa dal1'errore: è in quell'angolino la luce, e senza quel po' di chiaro, sia pur debolissimo, non ci accorgeremmo che la tenebra è tenebra .... Così è arbitrario ritenere il vero legato al falso, come il falso è, realmente, legato al vero, dal quale soltanto si può scivolare in errore: V erum index sui et falsi, non f alsum index sui et vet"i. Il falso è un excursus dal vero, non il vero un excursus dal falso. E insomma è il vero la vocazione profonda dell'uomo, che può cadere in parziale errore cercando il vero, non imbattersi nel vero quando sia seppellito nell'errore ». IV. « Vero » è aggettivo: anche se sostantivato in « verità » indica sempre una qualità, non una sostanza. Non si nega però che agostinianamente possa porsi un principio che impersoni, vivo, quel valore di verità, onde pregiamo come veri i nostri giudizi che tali ci risultino» (p. 63); ma la verità totale o « sistema della verità » è possibile solo a Dio. • Vero, poi e t"eale non sono la medesima cosa ( cfr. più sopra 11). Se la verità (umana) non è totale e se non cop-l'e la realtà e non vi combacia, si pone il problema della relatività o assolutezza ,del vero. L'unico relati,vismo aècettabile è quello delle t"isposte (della ragione) alle domande (dell'esperienza) perché questa è l'esigenza storica del pensiero: adattare le risposte alle domande che via via affiorano nel tempo. Relatività non è relativismo. Quest'ultimo è stato già ridotto nel « Teeteto » alla sua espressione contraddittoria, dacché Platone lo ha fatto coincidere con l'eraclitismo e poi lo ha ricondotto ali' eleatismo dell'irrigidimento di ciascun momento della realtà in se stessa ( 1). Il vero è dunque implicito nel conoscere, con queste tre implicanze: a) quanto al soggetto, se voglio conoscere debbo ammettere implicitamente che il conoscibile sia preso, insieme .con me conoscente, nell'interno di un unico sistema. « Ma, dentro di questo, me ne differenzio, quale che esso sia, tanto da poter prendere a studiarlo ». b) quanto all'oggetto del conoscere, « il conoscere d'ogni levatura, più ragiona su quel che una cosa può essere, più s'apre la via a com· prendere quel che essa è ». (1) Si veda, a questo proposito, l'ampio commento del Guzzo al Teewo (Napoli, 1935, p. 88).

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