LA FILOSOFIA DI ALFRED NORTH WHITEHEAD fondamente vero. Ma che questo processo sia l'unico possibile, e che la Totalità si realizzi solo così circoscrivendosi; ecco l'unilateralità fatale, e la genesi dell'errore. Ed ho usato il termine « fatale», non già per la smania di parole grosse, ma perché è fatale, nel senso negativo e mortale del termine, per ogni Verità e Valore, ritenere che l'Infinito si realizzi soltanto limitandosi nel finito. L'altra verità preziosa, di carattere gnoseologico (ma sempre, in radice, verità metafisica, come lo stesso Wh. ha cura di far rilevare), intimamente del resto connessa con la precedente, è quella della « datità » (riprenderò, se il lettore me lo permette, quel termine che così appassionatamente ho coniato nella mia gioventù ....); - della « datità », dicevo, delle entità attuali e degli oggetti eterni, al sentire e perciò alla coscienza, per una specie di pt'esenza immediata, indipendente da ogni argomentazione, ma perciò appunto fondamento di un indefinito preziosissimo argomentare; - e conseguentemente il « ripetersi » e « innovarsi » continuo del mondo, in quanto ogni reale continuamente può divenire, ed effettivamente diviene, oggetto per il sentire di altri reali. Affermare poi che ogni realtà sia, in larghissimo senso, una specie di « sentimento», è a mio avviso profondamente giusto; e in altri miei scritti ho giustificato questo punto di vista, sotto aspetti diversi e con giustificazioni diverse da quella dello Wh., ma in parte almeno, mi sembra, a queste complementari. Certo però lo Wh. smorza, indebitamente, la differenza qualitativa fra il sentire materiale (da noi ricostruibile, in fondo, solo per analogia), e il sentire spirituale che cogliamo in noi direttamente; e sembra anche, qualche volta, indebitamente svalutare l'importanza della coscienza;11tellettiva. Più di questo, però, che non è vero se non in parte ( sull'ultimo punto, del resto, ritornerò ancora fra breve, e molto in breve ....) interessa notare che l'esclusione della mediazione argomentativa, nello Wh., erroneamente, si trasforma e deforma in esclusione di qualsiaJi mediazione, e perciò di ogni « rappresentazione». Ma allora la realtà (più volte ci abbiamo insistito), ogni realtà, deve perire, cessare di essere reale essa, per farsi oggetto di un'altra realtà .... E la ripetizione innovante non è più moltiplicazione gloriosa, anzi piuttosto eterna morte, secondo un tipo di dialettica immanentistica che ricade infine nelle spire (e nelle insidie ....) della dialettica di tipo hegeliano. Senonché allora, a ben guardare, non più le cose reali sarebbero davvero presenti, ma piuttosto i loro cadaveri (anche se cadaveri belli, ben conservati e bene esposti ....). Non la « cosa » apparirebbe attraverso l' « oggetto», il suo esse formale attraverso lo obiectivum (per usare una distinzione terminologica scolastica ripresa da Cartesio); ma la cosa apparirebbe diversa da quella che era prima, perché divenuta oggetto. Più preziosa, di quanto sia funesta la deformazione, rimane tuttavia, maigré tout, l'affermazione realistica dello Wh., che ricongiunge per davvero la filosofia (come egli stesso con ragione osserva) al senso comune
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