LA FILOSOFIA DI ALFRED NORTH WHITEHEAD 189 canto sostanzialmente ( solidamente, oserei dire ....) permane, nella stessa agilità del suo «sviluppo». Il processo è invece inteso dallo Wh. - già lo abbiamo rilevato - sempre e soltanto come il realizzarsi di una struttura ideale, o come un idealizzarsi che è un disrealizzarsi ( se mi si passa il termine); - mai come uno svilupparsi (dichiarato impossibile!) di una realtà già in sé attuale. Ma così anche è insieme escluso (mi sembra) ogni vero e proprio « agire », come agire di un soggetto che sia, lui proprio, davvero principio della propria azione. Non è tale, davvero, un soggetto-supet'getto, che risulta dalla sua azione - perché, allora, dirla « sua »? - a maniera di puro « evento », e che necessariamente anche perisce appena è realmente costituito. In tale dottrina (pur così aperta, ma aperta contradittoriamente) alle grandi idealità etico-religiose, come non vi possono essere veri « agenti », tanto meno vi possono essere « agenti responsabili ». E questo è l'aspetto che rimane irreducibilmente « naturalistico », mi sembra, « antispiritualistico », nel « romanticismo » dello Wh. Ancora: in una dottrina, nella quale così spesso, e talvolta in maniera così efficace, si parla del « potere », come carattere essenziale di ogni realtà esistente, e proprio come potere inclusivo di effetti ( di altre realizzazioni possibili); - in questa dottrina, proprio, infine, ogni genuino potere produttivo è negato. L'ulteriore realizzazione, infatti, pur avendo la sua « norma » negli oggetti eterni, e pur essendo « condizionata » dalle realizzazioni antecedenti, che per altro verso essa assorbe in sé, si costituisce tuttavia (così mi sembra dovere interpretare), almeno per tutto quanto ha di schiettamente indi,viduale e proprio, per virtù esclusivamente propria, non per virtù di altra realtà, che abbia il potere di produrla ( 1). Essa nasce dalla morte della realtà antecedente (come realtà in atto), non da un'azione che questa compia dal vivo della sua realtà in atto, diffondendo e comunicando la propria realtà, e così moltiplicando la realtà senz'altro. Ora, se la realtà non può, comunicandosi, moltiplicarsi, è escluso qualsiasi genuino potere causativo. L'evento capita senza causa, e senza giustificazione (almeno, ripeto, per quello che in esso vi è di più individuale, e veramente proprio). Ma questo potere è d'altro canto sempre, contradittoriamente, affermato dallo Wh.; e del resto esso è implicito, in qualche modo e misura, anche nel semplice «condizionamento». (I) E perciò la «creatività» (ultima e suprema categoria, « category of the ultimate»), non è espressione e manifestazione dell'UQo originario, ma condensarsi dei :Molti nell'Uno. Cfr. Pr. Real., p. 28: « The ultimate metaphysical principle is the advance from disjunction to conjunction » ( « L'ultimo. supremo principio metafisico, è il movimento progressivo dalla disgiunzione alla congiunzione»). E poco prima, ibid.: « Creativity... is that ultimate principle, by which the many, which are the universe disjunctively, become the one actual occasion which is the universe conjunctively » («La "creatività" .... è quell'ultimo e supremo principio, per vìrtù del quale i molti, che sono !"universo in un modo disgiunto, divengono l'occasione attuale, che è l'universo in un modo congiunto».
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