Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

LA FILOSOFIA DI t,LFRED NORTH WHJTEHEAD IX. Che cosa lo Wh. conservi, di questa dottrina spiritualistica tradizionale (che invero non è propria soltanto della filosofia scolastica e neoscolastica, ma in questa a mio avviso trova la sua forma eminente ed esemplare), lo abbiamo già accennato sostanziai.mente pcc'anzi, parlando delle due affermazioni simultanee e correlative della sua gnoseologia (metafisica gnoseologica): 1 °) oggettività presente delle cose ( esistenti di fatto, e strutture ideali), tali quali sono in se stesse; - 2°) soggettività come inclusivo « sentire», che è altro dall'oggetto e nuovo rispetto ad esso, ma pure è tutto un « riferirsi » ad esso, un viverlo interpretandolo secondo un'individuale «prospettiva». Conserva tutto questo, bensì, accentuando alcuni aspetti ( come quello del «sentire», e dell'individuale «prospettiva») che sono in parte quelli stessi da me accentuati nel!'espcsizione; tanto più ivolentieri accentuati in quanto corrispondono in parte (non del tutto, naturalmente) a quegli aspetti che soglio accentuare io stesso, nel mio personale ripensamento della tradizione spiritualistica, ellenicoscolastica. E conserva così anche, accentuandola (come io soglio accentuare) l'infinita « ulteriorità » nel!'« intimità » dello spirito individuale e finito. Quello che non conserva, cercherò anche raccoglierlo intorno a due punti fondamentali, anch'essi correlativi (a mio giudizio) assai più di quanto sembri a prima vista: 1 °) non è conservata la « rappresentazione » sensibile, o concettuale, come distinta dall'essere rappresentato ( esistenziale, o ideale), e ad un tempo distinguentesi nella realtà spirituale dell'atto del conoscere, e dello spirito conoscente, come una fra le molte e successive sue esplicazioni; - 2°) non è conservata la realtà permanente del soggetto che sente e che pensa, e che permanendo si esplica in successivi e progressivi atti di sentire e pensare; - come, in genere, non è ammessa nessuna realtà sostanziale, permanente nel variare dei suoi stati e delle sue azioni, dei suoi « modi » di essere e di agire. I due punti sono intimamente connessi, perché la « rappresentazione » non è concepibile per davvero se non come esplicazione di un sentire che abbia una sostanzialità permanente; che non sia cioè un'inclusività meramente terminale e conclusiva; un puro << evento » (in altri termini) in sé concluso. Su questa duplice esclusione, e le sue conseguenze, conviene che ora ci fermiamo un paco. I limiti di spazio mi costringono ad accennare soltanto alcuni punti, che mi sembrano quelli più essenziali e fondamentali.

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