CARLO MAZZANTINI Eccoci di fronte ad una delle questioni che sono ancora più vive (che-cché si dica da alcuni, che troppo volentieri parlano di « superamenti ») nel pensiero contemporaneo. Intendo alludere all'esigenza di rompere il circolo magico dell'« idealismo gnoseologico» e sottrarsi così all'ossessione « solipsistica » da un lato, e dall'altro ali' equi,voco di un « Io assoluto o trascendentale » - che ha per lo meno il torto di non essere più affatto un « Io »; - ma senza rinnegare quelle che pur sono le genuine inconfutabili evidenze ed esigenze idealistiche: di riconoscere l'infinità in qualche modo presente nella coscienza del soggetto per quanto finito, e l'impossibilità per la coscienza stessa di ammettere ( accogliendolo in sé, o al contrario facendosene travolgere) qualche cosa che le sia radicalmente esterno. Ora il punto forte, nella gnoseologia dello Wh., sta nella vigorosa, simultanea (logicamente simultanea, per la correlazione essenziale dei termini), duplice affermazione, largamente giustificata in modo ostensivo, e altresì per absurdum, escludendo la possibilità del contrario, di due misteriose evidenze (quest'ultima formulazione però, letteralmente presa, è mia): 1 °) che alla considerazione cosciente è presente la realtà effettiva delle cose, e là genuina struttura delle essenze ideali, tali quali sono in se stesse, indipendentemente dal fatto di essere assunte ad oggetto dalla coscienza, e anteriormente a questa assunzione; - 2°) che, d'altro canto, questa presenza delle «cose» alla considerazione cosciente, a maniera di « oggetti », è possibile solo in quanto la considerazione cosciente emerge da una realtà attuale per suo conto, da un soggettivo vivere quelle stesse cose, e così << sentirle ».: includerle, diremo, condensate in una nuova realtà, che è pure tutta un prospettarsi verso quelle realtà. Un « sentire», che gli Scolastici avrebbero detto un essere, un divenire, << intenzionalmente», le cose stesse, con esse intenzionalmente« identificandosi». Non alludo ora a quella intenzionalità pura che è propria della « rappresentazione » come tale, della « species », o del.« verbum mentis » ( tutto questo, anzi, lo Wh. lo esclude); ma di quella intenzionalità che è propria dell'atto reale del conoscere, e cioè del conoscente in quanto conosce; realtà intenzionale (intenzionalmente . inclusiva), che noi viviamo in noi sentendoci pensare, e atteggiandoci in una od altra m_anieraverso le cose pensate. Ma ora appunto vorrei cercare di illustrar meglio la posizione dello Wh., mettendola a raffronto con quella del realismo gnoseologico tradizionale nella Scolastica, specialmente in quella forma che si dice (non senza pericolo di equivoco) realismo «diretto», od «immediato», e si oppone al realismo « iflazionistico », per il quale la realtà trascendente al soggetto verrebbe successivamente conclusa, ma non inizialmente intuita e afferrata. E, a tale scopo, esporrò l'interpretazione data dalle due dottrine ad alcuni fatti di esperienza. Cominciamo, allora, dal realismo diretto della Scolastica.
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