Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

320 NOTE DI CRONACA di rivoluzione: e questo è ed è stato legittimo. Ma invece di cercare in se stessi altrettanti artisti (li ha fuorviati la sfuriata di manifesti e di programmi che da cinquant'anni sembrano cose d'obligo) hanno voluto inventare una pittura nuova, un'arte nuova; come se, invece, non fossero i pittori e gli artisti, con le !aro opere compiute, a determinar ciò che sui libri si chiama compendiosamente pittura e arte. Si sono illusi (è incredibile, dopo tanta Filosofia dell'Arte degli ultimi decenni) che si possa prima dir quel che si fa e poi fare. E prima ancora - sempre più incredibile - di pensare ali' arte han pensato alla rivoluzione. Hanno cercato, - e li han trovati, come sempre avviene ai rivoluzionari - i dittatori da sostituire agl'ideali, giacché i dittatori sono del tempo e gli ideali dell'eternità; e le rivoluzioni, per l'appunto, sono fatti brevi, cioè eminentemente temporali : Picasso, Klee. Nessuno, poi, ha detto loro che questa «maniera» ha esattamente quarant'anni di vita, giacché Picasso dipingeva a questo modo nel 1908. In ogni caso, quando si vuole far della rivoluzione non si bada a sottigliezze; tanto più che c'è stato chi ha fatto leva sulla parola rivoluzione, al momento giusto, e ha identificato una rivoluzione politica con quell'urgenza tutta morale e naturale che è la perenne rivoluzione che ribolle nell"animo degli artisti giovani. Ed ecco il « Fronte nuovo dell'arte» con issata in alto la bandiera rossa. Rivoluzione pura, s'intende, trattandosi d'arte: e cioè valori formali puri, astrazione da ogni legame con la natura, con l'umanità, con (diciamolo ancora) il soggetto. Si è detto: l'arte è sempre stata astratta. Vero, verissimo: ma di fatto, non per proposito deliberato; per sua natura, non per volontà programmatica. E l::osl l'incanto della vera astrazione, quella che, se non fosse, non sarebbe neanche l'arte, s'è rotto. Ultima conseguenza del teorizzare che ha svelato di che cosa è fatta l'arte. (Non torna alla mente il noto epigramma del Giusti sul buon senso e la scienza?). Risultato: l'incomprensibilità; o, in termini meno crudi e banali, il distacco completo dell'uomo dall'artista. Ciascuno a suo modo, in nome della libertà: non più «cose», che son grevi e risapute, ma parole, parole senza significato. E così le parole, pur l'una diversa dall'altra, non si percepiscono ora se non come suoni: e perciò son tutte eguali. Col risultato che non « significano » nulla e perciò non possono comprendersi. Babele. Col suo notissimo epilogo. Ma, ripeto ancora, dopo aver visto questa parata di arte astratta, dentro resta una profonda emozione. Sarebbe disonesto non riconoscerlo. In quella pittura vibra qualcosa: c'è vita, passione, novità; qualcosa di positivo si agita e scuote, ciò che non avviene dopo aver percorso le sale, diciamo, passatiste. E, anzi, se dopo la mostra degli astrattisti si torna nelle altre sale, sembra di aggirarsi in un cimitero senza poesia. Forse - si sospetta - quei quadri rutilanti erano come un fuoco d'artificio, come un eccitamento fuori di natura: ma, indubbiamente, avevano qualcosa di positivo. Qualcosa che, forse, oggi non si è risolto ancora ma l::he forse domani ritroveremo ben composto e ritmato a svelare una volta di più il volto della poesia cantata col nostro attuale linguaggio. Credo, credo fermamente che in quest'aberrazione d'oggi ci sia lo stato potenziale di qualcosa di bello e di buono. Certo - sia <ietto senza ironia - più gii1 di così non si va, più incomprensibili di così _non si può essere, più astr~tti per ,partito preso di così non si può diventare. Crollata la torre di Babele ci si deve accorgere che al cielo si può arrivare, ma non ponendo sassi incoerenti l'uno sull'altro, l'uno dopo l"altro, ma con un volo istantaneo, asso-

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