Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

NOTE 01 CRONACA Superata la barriera dei metafisici, eccoci nella sala ben ripartita fra De Pisis e Campigli, compiutamente chiariti in mostre·personali. Di C.ampigli nulla di nuovo da dire; c· è da ricordare la sua dichiarazione scritta in gioventù, quando ebbe memoria cosciente del suo primo infantile apprendimento della pittura come « formula » istintiva, quella formula onde « tutti i pupazzi si somigliano fra \oro come opere delle grandi epoche di arte anonima». Campigli vuol « rappresentare l'uomo s11bspecie»; e ciò fu per lui «un'ossessione». Ossessione di primitivismo e di classicità, di ingenuità senza tempo e di cultura risolta unilateralmente: « Campigli ama i musei e le necropoli, Villa Giulia, il Vaticano, le sale terrene del Louvre e la preistoria a Saint-Germain », e s'è riconosciuto « negli etruschi e nei romani». Coerentissimo, certamente: ma troppo. Per cercare se stesso e per timore di distrazione, ha ridotto lo stile a una cifra; ed è caduto - chi lo nega, ormai? - nella decorazione (si ricordi il pavimento di un cinematografo romano), sciupando quel magnifico e talvolta magico suo potere di composizione. Per l'appunto: composizione per se stessa, quasi 1ipo di composizione; figura essenzializzata, quasi tipo di figura; e colori arsi e morti, anch'essi uniformi e senz'alcun edonismo visivo-. E cioè confusione, come si diceva, fra coerenza e cifra, fra personalità e cifra, fra cultura e cifra, fra purezza e cifra; e anche fra cultura e spontaneità, fra idee e immediatezza, sia pure in omaggio ad aspirazioni nobilissime; ma anche il pungolo dell'originalità ad ogni costo, mascherata sotto la speciosa bandiera del- !'« evasione». Ben più dei « metafisici » presentati come tali, dunque, non foss'altro per quella dichiarata volontà di evasione e di aspirazione ad una pensata ed erudita purezza, e sopratutto per la costanza dell'espressione a costo della sostituzione della cifra allo stile, Campigli troverebbe il suo posto nella storia del gusto che dalla « metafisica » conduce al surrealismo. E meglio si chiarirebbe, così inquadrato storicamente, il suo più lirico linguaggio, che è quello, purtroppo non corroborato da altri fattori, della pura composizione. De Pisis : anche De Pisis sembra aggrappato a quella « tr.ovata » veramente geniale della sua nuova pittura « di tocco ». Intelligente apprendista dell' impressionismo, egli esaspera il valore espre~sivo della pennellata, esaltala in grafia, tanto è lunga e scoperta. A questa si affida completamente, riuscendo a risolvere in preziosità l'eleganza, tanto da toccare, talvolta, una musicalità esteriore che può dar l'illusione d'essere poesia. Ma è accidentale quel suo rarefar l'atmosfera, che taluno può scambiare per ricerca spaziale; è troppo voluta (si perdoni il bisticcio) la sua improvvisazione, per equivalere a spontaneità; e se nella sua pittura, come alcuni vogliono vedere (le parole sono di un critico) c'è delirio, fcbbrilità, visione magica, tutto ciò procede da un eccitamento esteriore, da un «mezzo», qual'è, per l'appunto, quel ductus manierato e attentissimo, nel volgere del tempo, alla malia dell'impressionismo (ma sapendolo eludere), o all'espressionismo (ma senza denunciarne palesemente la derivazione) o al surrealismo (ma divulgato e reso accessibile nei colori distesi che sempre vogliono esser qualcosa, aria o cielo o nuvole); o anche, come nei quadri I 948, ali' astrattismo. Infatti, ora, De Pisis pennelleggia più grosso e più duro, diluendo meno il colore e premendo il pennello sulla tela, ostentando libertà nei confronti dell'oggetto che vuol rappresentare, sì che l'intrico dei puri colori sembra ( e qui è la consueta scaltrezza) valere per se stesso, astraendo da ogni pretesto.

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