Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

314 NOTE DI CRONACA gli organizzatori, e cioè un giro eminentemente «mentale». Ma, in verità, nelle doviziosissime sale c'era tanta materia artistica, tanta concretezza di testimonianze che, francamente, si sarebbe ben potuto fare il cammino inverso: e di ciò va dato atto agli ordinatori; si sarebbe potuto, insomma, prescindere dalla « storia delle idee » e giudicare i fatti, guardar le opere e fare un bilancio concreto. Anzi, ci sembra ora doveroso, dopo aver tessuto la storia delle idee (ciò che era indispensabile per capire le posizioni spirituali che rendono profondamente impegnativo il problema detraete d'oggi) parlare delle opere d'arte. Tanto più che, riesaminando quelle posizioni mentali, ci avvediamo che ciascuna di esse lascia adito alla domanda (che è stata serenamente posta da uno dei maggiori nostri critici d'arte in un recente congresso internazionale): ma l'arte non è sempre stata espressione di individualità? e di libertà? e di universalità? e non è sempre stata « astratta »? Questa domanda, la cui risposta è ovviamente implicita, è poi lo stesso argomento addotto da Chagall per giustificare; i suoi pretesi assurdi, giacché invocava la testimonianza almeno di Rubens e del Tiepolo. E dunque si ripresenta, oltre agli altri, un problema strettamente critico. Ma preferiamo, ora, comportarci da empirici; e, come abbiamo già prima proposto, 1ccompagnare il profano « non provveduto » nel lunghissimo giro della Biennale. * * * Si è già accennato che il visitatore della Biennale - puro e semplice amante o curioso dell'arte - il quale voglia sincerarsi di tutto quel che sente dire sull'arte d'oggi e insieme voglia, spogliandosi di tutte le suggestioni mentali, vedere di persona che cosa mai sia quell'arte moderna, è costretto a mettere un po' d'ordine tra tutta quella dovizia di quadri e di statue; e prima di tutto a scartare dalla visita gli artisti che sono stati presentati completamente per quel che sono, e non per il posto che occupano in un particolare capitolo della recentissima storia, e cioè tutti i titolari delle retrospettive; e poi anche coloro che alla Biennale non hanno esposto opere tali da dar luogo a nuovi giudizi. Ma resta in primo piano l'urto tra i due mondi artistici: il cosidetto Novecento e il Fronte 11110,vo del 'arte. Diciamo subito che qui c'è un errore, o almeno una posizione troppo tesa da parte degli ordinatori della mostra. Costoro, sembra, si son detti: tutta l'arte del più recente passato ha un qualcosa di comune, ciò che, ripetiamo ancora, le è valso il titolo di Novecento; togliamo da questa congerie pochissimi nomi (De Pisis, Campigli, per esempio) che in certo modo, grazie alla loro personalità, superano la categoria in cui rientrano i più; e poi a questa, diciamo, scuola si opponga un'altra tendenza ben solidificata dietro un'altra etichetta : gli astrattisti, che per ribadire il loro piglio polemico, si vogliono presentare in pieno assetto di guerra, schierati in Fronte. La volontà di esaltare questo Fr~nte è apparsa tanto « parziale » quanto arbitraria; prima di tutto si è voluto assumere questo Fronte come unica espressione d'arte contemporanea, e lo si è voluto giustificare storicamente attraverso la pittura metafisica; e per far ciò si son presi tre artisti, De Chirico, Carrà e Morandi, si sono mutilati di tutta la loro produzione anteriore e posteriore al decennio 1910-1920, e si è in tal modo fatta astrazione dalla loro personalità (che non è un particolare momento ma la risultante di una totalità); si è cioè, denunciata la debolezza e l'assurdo dell'intento. Dato e non concesso che la pittura metafisica sia la premessa necessaria all'astrattismo regge questa ipotesi alla prova dei fatti? E noto che Carrà ha abbandonato il periodo metafisico rifugiandosi come un figliol prodigo all'ombra di Giotto e del paesaggio; che De Chirico ha clamorosamente abiurato la sua fede

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