Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

NOTE DI CRONACA 313 due pazzi o due sonnambuli non si riconosceranno mai come simili. Bisognava dunque trovare un quid comune che organizzasse quelle voci - disegnate nel vuoto - in linguaggio: non si poteva certo fare appello ali' aconcettualità delle immagini, valide soltanto per il loro valore sensibile (colore, nessi compositivi, armonie) e per la logica interna simile a quella, si dice, della musica; si sarebbe tornati a Paul Valéry, e cioè a una sensistica, pura quanto si voglia, ma pur sempre sensistica e perciò a qualcosa di oggettivabile. Non restava che una strada: quella che, riconducendo al mondo di qua dopo le evasioni surrealistiche, riducesse tutte le espressioni dell'uomo a quel minimo a tutti comune che, pur essendo concreto, non permettesse agli individui di differenziarsi fra loro; perciò astraendo da ciò che sono gli uomini nella loro concretezza (quando cioè si differenziano fra loro a scapito di ciò che li fa esser simili l'uno all'altro) si riporti la loro espressione a un sempre identico primordialismo, quale che ne sia lo stimolo e l'occasione. Si bandiscano la ragione, l'intelletto, l'esperienza, la memoria; si uccida qualunque stato di commozione e di affetto; si spezzino tutti i meccanismi per cui ciascuno di noi si sente vivere in una continuità spaziale e temporale; oggi l'artista vuol nascere dal nulla e nel nulla ripiombare subito, vivere un attimo solo di perfetta genuinità: soltanto così gli uomini saranno tutti eguali, soltanto così si scoprirà l'essenza più concreta dell'uomo, il suo fondo assoluto, la sua vera e non contaminata umanità. Non c'è da stupire, quindi, che questo « credo » artistico proceda da ben altre premesse e si risolva entro campi più vasti; non si tratta più, insomma, di arte, ma di umanità, di uguaglianza; di una simiglianza « a priori » e perciò senza impegno sentimentale, ma uguaglianza che può sussistere soltanto a patto d'una povertà assoluta e fredda, di una mancanza di possesso, di desideri, d.i amore: l'uguaglianza di esseri .ridotti al minimo d'esistenza e al massimo di certez~a. Non c'è da stupire, insomma, che l'astrattista Guttuso, nell'introduzione alla sala di Picasso sul catalogo della Biennale (Picasso, ripeto, capziosamente rappresentato con le sole sue opere connetti bili con l'astrattismo) dica che il suo Picasso sia impegnato « in un dibattito che non è più di astratto e concreto, di figurativo e non figurativo o di formalismo e di naturalismo ma tra uomini e antiuomini, addirittura tra b11oni e cat#vi ». E nemmeno è incoerente che un'ideologia sociale e politica si sia autoproclamata tutrice di quest'arte, dichiarata ad essa congeniale. (Da noi, ben inteso; perché è notorio che nella patria di quell'ideologia l'astrattismo e ~ suoi parenti prossimi e lontani sono rigorosamente banditi e condannati). Si era detto in principio che la questione era grossa ed esorbitava da una platonica discussione sulle opere d'arte. Si è ora, credo, dimostrato che l'equivoco che ha generato tutti gli sconfinamenti (contraddittori quanto mai alle più accreditate estetiche e allo stesso concetto di arte) procede da quel!' asserzione di libertà e di individualità soggettiva e insieme di completa dedizione all'oggetto contemplato che fu la prima conseguenza dell'impressionismo. E che, una volta avviato il sofisma, bisogna riconoscere legittima la sequenza dei programmi e dei sistemi, non escluso l'ultimo, più di tutti bruciante, dell'astrattismo; e che d'altra parte è identicamente legittima, anche se inaccortamente impostata, la protesta partita testé da un deputato al Parlamento: Giacché l'arte è uscita dal suo dominio, è più che naturale attaccarla fuori di casa sua, e cioè sul piano morale; non parlano i suoi stessi adepti di uomini e no, di buoni e cattivi? · Ecco, dunque, compiuto il « giro » della Biennale, così come l'hanno voluto

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