Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

NOTE 01 CRON/IC/1 307 C'erano precedenti prossimi e lontani: il riprovato, due secoli prima, riprender dal vero, la deprecata adozione di modelli - in un quadro che non fosse un ritratto - vestiti secondo la foggia contemporanea; l'accostamento arbitrario del nudo, trattato veristicamente, ad altre figure vestite ed accampate sull'erba, aveva già sollevato scandalizzate proteste in nome dell'arte e della moralità; in nome del1' arte - sempre - e della libertà si formulò la controprotesta, ma già il romanticismo aveva forzato, in mille modi, le porte dell'accademismo preparando quel duello il cui esito era, a pensar bene, già scontato. Poiché, pittura a parte, il gusto che aveva permeato il romanticismo e l'interesse degli scrittori, sopratutto francesi, per l'arte figurativa, garantivano il trionfo delle idee nuove; e c'era poi, e pareva fatto apposta per conciliare ogni cosa, e cioè oggetto e soggetto, il motto famoso di Goethe: « Ba~ta che l'artista scelga un soggetto, perché questo non appartenga più alla natura ». Più che rivoluzione, dunque, quella fu coerentissima evoluzione, una battaglia n•ceJJaria; la pittura, forse, fu l'ultima a entrare in scena, e, certamente, sopratutto per le innovazioni tecniche ed esteriori, fece gran chiasso; ma, ripeto, costituì un fatto intimamente preparato, ben meno clamoroso, poniamo, di quel che avvenne quando il Caravaggio piombò in mezzo alle acque morte del carraccismo. · Se, poi, nel risucchio riaffiorarono argomenti morali e sociali, questi soltanto occasionalmente urtarono contro la nuova arte figurativa: non c'era, in fondo, una ragione intima di opposizione tra impressionismo e moralità (che male potevano fare i paesaggi en plein air?) giacché la figura ignuda del Déje1111er 1111· l'herbe scandalizzava perché tale e non perché fosse dipinta in un certo modo. Che gli uomini che dipingevano da impressionisti fossero « borghesi » non avrebbe interessato se, puta caso, avessero dipinto da accademici; voglio dire che l'urto borghesia-aristocrazia fu un puro pretesto polemico susseguente ( diciamolo subito: non come avviene oggi, ·che altre antitesi equivalenti precedono la manifestazione artistica e la travolgono artificiosamente pretendendo di tutelarla). Si trattova, insomma, molto semplicemente, d'un fatto antico quanto l'arte: ,·ecch10 e nuovo, disegno e non disegno, accademia e libertà. Fatto antico, ma non per questo poco sorprendente ed e(citante e importante: perché - e perciò, ripeto, fu un fatto importantissimo - fu veramente, integralmente, un fatto artistico. Tant'è vero che l'impressionismo non durò come sistema, come scuola, come programma, ma fu valido soltanto per gli artisti (pochissimi) che lo praticarono, inventandolo e rapidissimamente variandolo, lasciando sempre prevalere, evidentissima, la loro individualità e le vicende interne della loro personale cronologia: Manet, Monet, Pissarro, Sisley. E Manet dell'Amata di Ba11delaire non è lo stesso (non parliamo del Théodore Dt1ret) del ritratto di Berthe Moriso.t in luno (1874 ca.) o dell'At1t1111110 o della stupenda Méry ùtt1m11. (Si è voluto dire, ben inteso, che il sistema non impedì mai al pittore di « crescer su se stesso », come s'usa dire oggi, e quindi, eventualmente, di mutare; così come, oggi, capita - ed è il miglior segno - al nostro Morandi). E Sisley inaugura una specie di scomposizione divisionistica; e Pissarro, più debole, non rinuncia alla sua pennellata lunga e imitabilissima; e il ductus di Monet indaga la forma più che la pura impressione, prima dei quadri con effetti divisionistici. Dunque le personalità, anche nella stretta cerchia dei « congiurati», erano ben nette e individuali. E poi ecco Renoir alterare l'essenza dell'impressionismo, volgendola a un repertorio che pareva in cor:traddizione; e poi Degas, aristocratico, non mai dimentico dell'insegnamento di Ingres; e Toulouse-Lautrec, sopratutto disegnatore, e finalmente Cézanne, che non si peritò di dichiarare che voleva fare « arte da museo ». E ancora Gauguin, che tanto sdegnò il suo mondo, da cercar l'esotismo di Tahiti. E inutile, alla lista, aggiungere Van Gogh per dimostrare che l'impressionismo, come iJmo, visse quanto bastò per dar modo agli artisti

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