Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

NOTE DI CRONACA 303 merita. Così qualche pagina delle Osservazioni 1111/eJJico e s11flame11·icadel Tasso insiste su comparazioni non concludenti di parole e musìche. Così il saggio sul Petrarcaarte/ice appare un po' consenziente verso certa degustazione sensibilistica che in genere non c'è mai nel Fubini. Ma sono noterelle in margine ad un libro v alidissimo, dove d'altronde « l'interesse per il lavoro letterario, attraverso il quale si viene rivelando la personalità di un poeta o di uno scrittore» (tema fondamentale del volume) può giustificare l'accostamento a limiti di tal guisa. Si noti, inv ece, la straordinaria finezza del saggio su Ù1 poesia dei Tasso, con cui si chiude il volume: saggio dall'apparente tono didascalico, ma condizionato da un'energ ica visione complessiva, dove le intelligenti formulette di tanta critica non han più peso, e la concretezza della lettura poetica appare serenamente conclusiva di tanti lavori e passioni tassesche. Giovino, questa volta, gli umili tamerici, arb11stajuvant etc. Ché terminare le Cronache odierne con le romanesche Ollave di Mario dell'Arco (Roma, Bardi, 1948), potrebbe far storcere qualche grifo di purista o di serioso lavoratore della me nte. D'altronde questo terzo libretto del poeta romanesco è tutt'altro che h11111i/e1q11e myricae! Anzi si presenta come l'op111doc/11111 dell'autore di Taja ch'è rossu! e La stella de carta, un tentativo di portare, sia pure provvisoriamente, il verso dialettale ai fastigi aulici del linguaggio seicentesco del Peresio e del Berneri, del Maggio romanesco e del Meo Patacca, non senza qualche debolezza per la lingua del Belli, e di ridar vita, quanto sia pur possibile antico-moderna, alla vecchia ottava del c antare popolaresco. E l'argomento è, beninteso, conseguente: la SaJJaro/aJa, la battaglia a sassate tra due ·rioni antagonisti, tra i Monti e Trastevere (questa molto sei centesca), I' 011obrala, di gusto più ottocentesco e impressionista, Er sacco de Roma (naturalmente più sapido di tensione linguistica, più antico di stile), il Maggio romanesco piuttosto settecentesco, nonostante l'ambientazione trecentesca, Er rallo de le Sabine, La sbandierala, e infine La merca. Brevi poemetti di vivissima sensibilità pittorica, dove l'impasto espressivo, sorretto da buon gusto e da orecc hio musicalissimo, crea un tessuto poetico nitido, colorito e suggestivo. Chissà se per questa strada il Del!' Arco avrà voglia di andare avanti, ma noi non vediamo malvolentieri, accanto alla più fresca vena melica e angosciata delle poesie brevi, qu este O/lave più narrative e artificiali, ma che rientrano efficacemente nella tradizione dotta e scenografica del verso romanesco. Sulla poesia di Dell'Arco abbiamo av uto occasione di discorrere molte volte, su giornali e riviste, e forse potremmo ripete rci. Lasciamo il passo a quanti si vanno sempre più interessando di questo singol are poeta, lieti che a noi (prima ancora che al Trompeo, al Baldini, al Bocelli, al Pancrazi) fosse toccato in sorte di scoprirlo e pubblicarlo già dal 1945, su un period ico che aveva nome lnlervaffo e che ora giace nell'oblio. GIORGIO PETROCCHI.

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