Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

300 NOTE DI CRONACA corso del racconto si insabbia nei luoghi comuni del fatterello campagnolo, in figure e vicende che non dicono assolutamente nulla al lettore d'oggi? Tanto più che, non si vuol dire di Martini o Fucini o Palazzeschi, ma son sufficienti certe pagine di Paolieri e anche del primo Tombari per dare un senso e un succo poetico che il Carderelli non raggiunge mai. Quel che è stato, è stato; ma oggi Cardarelli appare realmente un'ombra dell'Ade, tolta alla comprensione del mondo d'oggi, ma (a differenza anche degli abitanti acherontèi) remota pure da ogni comprensione delle anime dei trapassati. Ciò non vuol dire, in fondo, negargli un passato di prim'ordine, nelle lettere dell'altro dopoguerra, anzi vuol dire accentuare i pregi e le caratteristiche che furono nel periodo della Ronda, e che i rondisti migliori dovettero superare e in parte rinnegare per giungere a nuovi e più felici approdi letterari. * * * Questo insegni che bisogna soffrire il proprio tempo, per poterlo esprimere. Gli errori, poi, vengon perdonati anche se non sono scontati. Si pensi quale tormentata partecipazione umana desse Giovita Scalvini alla critica romantica, fin a rifiutare ogni quieto e freddo ragionamento che « voglia concludere», in nome di una confessione personale che gli dettava pagine ardenti, pagine che ancora vivono nella loro interezza lirica. Frammentaria, dissolta da interni pentimenti e incertezze, incapace di prodursi secondo un piano organico, ma pur svolgentesi nella linea di una rigorosa impostazione metodologica, carica di esperienze umane fino alla taiurazione romantica della scrittura e delle predilezioni letterarie, l'attività critica dello Scalvini (questo Renato Serra del primo Ottocento) ha ottenuto in questo ultimo decennio, auspice anche Croce, il riconoscimento che si meritava. E i complessi motivi di pensiero ( soprattutto quelli derivanti dall'idealismo tedesco e che subito dopo la morte valutò esattamente il Tommaseo) interessano storicamente e socialmente, perché da un lato servono a ricostruire l'ambiente culturale e i travagli ragionativi cui era sottoposta la critica scalviniana, d'altro lato illuminano la sua singolare posizione politico-sociale di uomo e poeta. Ma le cure maggiori per lo Scalvini, e anzi la messa-a-punto storica, sono dovute alla lunga fatica del compaesano Mario Marcazzan, già analizzatore dei rapporti Foscolo-Scalvini (nel 1934), e di quelli ancor più importanti e seducenti Manzoni-Scalvini (nel 1942, in uno studio apposito sulle note scalviniane al Manzoni), ed ora fervoroso curatore dei principali testi critici dello Scalvini in FoJColo, Manzoni, Goefhe, scritti editi e inediti (Torino, Einaudi, 1948). Notiamo qui il carattere della larga introduzione del Marcazzan, impostata biograficamente e semmai con una attenzione maggiormente rivolta ai documenti poetici anziché a quelli del lavoro culturale. (Se è vero, com'è augurabile, che il Marcazzan raccoglierà quanto prima tutti i "ersi dello Scalvini, forse la presente introduzione era più appropriata come premessa a Giovita poeta; e qui sarebbe stato più utile avere un compendio degli studi su Giovita critico). Felicità del critico che può abbandonarsi alle care letture senza soffrire, solo con una certa amarezza che viene dal ricordo degli anni passati e si placa nell'onda della poesia. ! il caso di Panzini, come pure dei due suoi curatori, Pancrazi e Valgimigli. Ad ognuno il suo. Pancrazi s'è preso il Panzini svagato e un po' garrulo rievocatore del vecchio mondo marchigiano e leopardiano (vedi Casa Leopardi, Firenze, le Monnier, 1948). Valgimigli s'è scelto il Panzini bolognese della scuola

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==