Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

VARIETÀ 277 permisero di soddisfare in modo mirabile la sua nobile passione. Questi concesse al suo fido collaboratore varii beneficii e, fra essi, la pieve di San Daniele, uno dei due luoghi che erano rimasti sotto la sua dominazione dopo che egli aveva conclusa la pace colla Repubblica Veneta, rinunziando alla pretesa di ricuperare lo Stato perduto dal suo predecessore, il duca Ludovico di Teck, nel 1420. Guarnerio si compiacque spesso di risieàere nella sua pieve, poiché amava molto la bella e ridente cittadina di San Daniele che dal suo grazioso colle domina tutta la pianura Friulana e colà volle rimanesse, a suo perpetuo ricordo, la raccolta libraria che aveva riunita con ingente spesa e con molte fatiche. Era un insigne tesoro: basti dire che, secondo quanto scrisse nel settecento l'abate Domenico Ongaroi accoglieva, quando era integra, persino l'introvabile Ortensio di Cicerone! Guarnerio aveva riuniti presso di sé alcuni copisti e miniatori per far eseguire copie di manoscritti che aveva ottenuti a prestito da varie parti. Così sappiamo che i nipoti del Patriarca poi Cardinale Antonio Panciera gli avevano concessi, perché li facesse copiare, alcuni manoscritti appartenuti al loro zio. Secondo le indagini del!' abate Narducci che io conobbi, molti anni or sono, quale bibliotecario della Guarneriana, si trattava d'un Corp11s juris Canonici, d'alcune opere di giuristi come Pietro d' Ancarano e Giovanni d"Andrea e di testi classici di Sallustio, Seneca, Luciano e Vegezio. Altri codici ebbe Guarnerio a prestito dal rettore delle scuole di Cividale, Giovanni di Spilimbergo, e per altri dovette ricorrere alla liberalità di patrizii Veneziani, come Ludovico Foscarini e Francesco Barbaro coi quali scambiò lettere che si conservano nella Marciana. li benemerito Narducci ci tramandò pure i nomi d' alcuni copisti che furono al servizio di Guarnerio, come il canonico di Udine Nicolò di San Vito, il notaio Nicolò da Colle, il prete Piero di Fagagna e da antichi cataloghi tolse la notizia che un bellissimo Plinio era stato scritto << politissimis litteris » dal Marchigiano Battista da Cingoli. Questi aveva annotato, in fine al cddice, d'aver compiuto il suo lavoro per ordine di Guarnerio « amoenissimi oppidi Sancti Danielis plebantts, MCCCCLVI, die secunda Septembri.r. Accanto a questi codici che egli aveva fatti copiare, il valente prelato ne pose • poi altri che riuscì ad acquistare qua e là, con fine gusto, riuscendo così ad avere dei veri cimelii, come il codice trecentesco contenente il Dante col commento del Bambaglioli, il breviario miniato proveniente da Vienna nel Delfinato ed altri manoscritti di gran pregio. Nell'anno 1466, poco prima della sua morte, il generoso bibliofilo fece il suo testamento e vi stabilì, come dicemmo, che la sua raccolta dovesse essere perpetuamente custodita nella fabbriceria della Chiesa di San Michele Arcangelo sotto la sorvegl"ianza del comune di San Daniele. Egli stesso aveva iniziata e condotta a buon punto la costruzione d'un'apposita sala sopra la cappella di San Girolamo, che fu poi compiuta alcuni anni dopo a cura del comune. Nelle sue disposizioni Guarnerio diede regole sev~re per la custodia dei codici, vietandone assolutamente il prestito. Aveva fatta in proposito una triste esperienza, perché ben cinque manoscritti da lui dati a prestito ad amici non gli erano stati restituiti! Nel 1571 fu fatto l'inventario della raccolta ad opera del cancelliere della comunità, il quale tenne presente per questo un precedente elenco che aveva fatto lo stesso Guarnerio, oltre un secolo prima, nel 1461. L'inventario del 1571 pubblicato dal Mazzat:nti nei suoi cataloghi delle biblioteche italiane, ci mostra come la raccolta contenesse allora 170 codici, dei quali 67 erano scritti in « pergamenis deauratis ». Degti altri, la più gran parte era membranacea e soltanto alcuni erano scritti « in papiro», cioè cartacei. L'elenco è diviso per materia e pone come primi i codici «ecclesiastici», con-

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