Quaderni di Roma - anno II - n. 3-4 - mag.-ago. 1948

GIOVANNI MIELE nazionale, presentano un'estensione maggiore degli interessi affidati a tali enti. Si giustifica, così, l'istituzione di un nuovo ente territoriale, la regione, cui andrebbero devolute le materie relative alle strade, porti, fiumi e altre opere pubbliche d'importanza regionale; agi' istituti d'istruzione superiore e secondaria, alle accademie, alle istituzioni di beneficenza; alla pubblica sicurezza; alla sanità pubblica; alle Camere di Commercio e istituzioni agrarie, alle bonifiche e ai Consorzi idraulici; alle foreste, caccia e pesca. I mezzi finanziari sàrebbero offerti o da appositi stanziamenti governativi, provinciali e comunali o da tributi in parte propri, in parte costituiti da quote delle imposte dirette. Il problema della regione tornò a porsi con accesa vivacità nel primo dopoguerra, concorrendo diverse circostanze che qui non è il caso di specificare. Ciò avvenne sopratutto ad opera di un movimento politico, il partito popolare italiano, che dell'istituzione della regione fece un caposaldo del suo programma, fondandosi sul carattere naturale di questo ente, sulla necessità di combattere il predominio statale burocratico, sui danni dell'uniformità legislativa, specie nel campo agricolo e scolastico, sui benefici che l'autonomia regionale recherebbe allo sviluppo del Mezzogiorno e delle Isole, e infine, non ultimo, sul peso che la Regione, come ente dotato di effettiva autonomia, avrebbe potuto esercitare nella difesa delle libertà civili e politiche. Ad escludere ogni accostamento col federalismo, Luigi Sturzo, segretario del nominato partito e vigoroso assertore del decentramento regionale, precisava che al nuovo ente non sarebbe spettata alcuna delle funzioni propriamente politiche e che il suo campo di attività avrebbe riguardato la materia dei lavori pubblici, delle scuole ( secondarie e professionali), dell'agricoltura, della beneficenza e assistenza (da dividersi con i Comuni), l'igiene. Anche la finanza della regione doveva essere coordinata con quella dello Stato. In quegli anni stessi, però, il regionalismo ebbe ad incontrare avversari non meno decisi, specie fra gli uomini di studio, sia per considerazioni generali (1), sia in base ad un'analisi minuta dei còmpiti che si volevano attribuire a.Ila regione e dei mezzi con cui essa avrebbe dovuto farvi fronte (2). Il fascismo, che in un primo momento aveva agitato anch'esso la bandiera delle autonomie locali, non tardò, una volta giunto al potere, a seguire la sua vera vocazione, dichiarandosi ostile a ogni proposito di decentramento e per giunta rafforzando, con la moltiplicazione dei controlli e la soppressione del principio elettivo, la già stretta dipendenza delle comunità locali dallo Stato. (1) BORSI, N1101i orientamemi e nuovi proiili de/ diritto ammmir1Fali10 italiano (« Riv. Dir. Pub.», 1920, J, l segg.); D'AMELIO S., Autarrhia regionale e stato rmilario (ivi, 1924, I. 75 segg.); TRENTIN, 1Autonomia, autarchia, decentramento (ivi, 1925, 11 65 segg.) (2) VITTA, // regio11alis1110, Firenze, 1923.

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