74 ANTONINO PAGLIARO Vi sono forme del conoscere presso popoli, più o meno culti, che rappresentano solo la fase interpretativa e non la conoscitiva: i miti, le pratiche magiche, la mantica rappresentano lo sforzo di conoscere il reale per segni, un interpretare, attraverso questi, quello che non ci è noto. L' interpretazione è rivolta tanto ai fatti della natura, quanto ai fatti della coscienza. L'indagine del filosofo intorno ai concetti rappresenta la fase più alta di tale interpretare per conoscere. Per ciò che riguarda il conoscere che nel linguaggio si attua, un grado primordiale di esso è, dunque, l'interpretare. Epperò, a tale interpretare è correlativa l'esigenza di distinguere, che è inerente al segno fonico; senza di che non vi sarebbe linguaggio. Mentre in chi ascolta l'interpretazione ha un carattere ricettivo, in chi parla l'interpretazione ha un carattere, per dir così, attivo: interpretazione del contenuto della coscienza, interpreta· zione dei segni, il cui valore è adatto a rendere come rappresentazione tale contenuto. Questi due momenti sono dominati dall'esigenza di distinguere un determinato conoscere ed è tale esigenza che nell'atto linguistico presiede àlla scelta del segno fonico ed è questa pure l'esigenza che inerisce al segno, come elemento del sistema distintivo della lingua. Se l'interpretazione, cioè il volere intendere, è un grado del conoscere, il voler distinguere è un grado del distinguere. Una fase primordiale del linguaggio possiamo pensarla, da un lato, come fondata su un voler CO· noscere, dall'altra come mossa da un volere distinguere; cioè dall'intenzione di fare un certo complesso fonico l'esponente di un certo significato. I fattori, che determinano la forma fonetica di un sistema linguistico attuale, sono legati con il con".ergere delle possibilità funzionali dell'artico• !azione verso il suono, in quanto è ,distintivo, è sentito, cioè, in funzione di un« distinguere»; ciò porta l'esclusione dei suoni non avvertiti come tali e il crearsi di un sistema fondamentale di opposizioni e di correlazioni, che sono sufficienti, con le infinite possibilità delle diverse combinazioni, alla costituzione dei segni fonici. Questo convergere dell'articolazione verso un suono distintivo, il fo. nema, è un atto di libertà ed è per l'appunto tale libertà che promuove il dinamismo del sistema, cioè fa sì che le lingue si trasformano nel tempo. Ora, se vogliamo rappresentarci una fase primordiale del linguaggio, trasferendo in essa, secondo l'insegnamento del Paul, gli stessi fattori che vediamo operanti nelle lingue storiche, non possiamo non attribuire ad essa almeno i gradi più elementari, gli impulsi di tali fattori: cioè l'interpretare come grado del conoscere e l'intenzionalità del distinguere. Teoricamente, è possibile rappresentarsi una fase, in cui non si sia costituita una lingua come complesso di segni significanti, cioè esponenti di una forma ben definita del conoscere, ma si abbia solo la possibilità di articolare la voce e di sottolineare con movimenti articolatori il moto della coscienza. In una siffatta situazione, in cui si ha la parola come valore universale ~ .
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